Il Triduo Pasquale rappresenta il culmine dell’anno liturgico cristiano, commemorando gli eventi centrali della fede: la Passione, la Morte e la Resurrezione di Gesù Cristo. Un elemento significativo della liturgia del Giovedì Santo è l’allestimento dell’Altare della Reposizione. Questo altare, preparato al termine della Messa nella Cena del Signore, ha lo scopo di custodire l’Eucaristia consacrata durante la celebrazione. L’Eucaristia rimane sull’Altare della Reposizione fino alla liturgia del Venerdì Santo. Tuttavia, in alcune regioni del Sud Italia, è diffuso l’uso del termine “sepolcro” per riferirsi all’Altare della Reposizione. Questa denominazione, sebbene popolare, può generare confusione, portando a interpretazioni errate riguardo al momento della morte di Cristo, come evidenziato dalla preoccupazione espressa nella richiesta. È quindi necessario chiarire l’origine e il significato di questo termine e dissipare ogni ambiguità sul suo legame con la Passione di Gesù.
Perché chiamiamo “Sepolcro” l’Altare della Reposizione
L’uso del termine “sepolcro” per indicare l’Altare della Reposizione affonda le sue radici in antiche tradizioni. La pratica di allestire altari speciali per la custodia dell’Eucaristia durante i giorni del Triduo Pasquale si è sviluppata nel corso della storia della Chiesa. In particolare, nel Medioevo, specialmente nei paesi nordici, si diffuse l’usanza di erigere nelle chiese dei “Santi Sepolcri”. Questi allestimenti avevano lo scopo di onorare il periodo di tempo in cui il corpo di Cristo riposò nel sepolcro, e spesso si teneva una cerimonia di “deposizione” il Venerdì Santo, o talvolta già il Giovedì Santo dopo la Messa. Questa antica tradizione di onorare il “riposo” del Signore nel sepolcro potrebbe aver influenzato la terminologia popolare successiva.
Già a partire dall’età carolingia, si afferma in Europa la pratica di allestire quelli che oggi conosciamo come Altari della Reposizione. In quel periodo, questa usanza era particolarmente legata all’idea del lutto e della sepoltura, riflettendo una concezione “pietistica” che meditava sulla morte di Gesù, anche in relazione all’Eucaristia. È plausibile che proprio da questa originaria enfasi sul lutto e sulla sepoltura sia derivata la denominazione popolare di “sepolcro”, ancora oggi in uso in alcune regioni d’Italia, specialmente nel Sud. La forte presenza di questa terminologia nel Meridione testimonia una radicata tradizione culturale e linguistica che ha mantenuto viva questa espressione nel linguaggio popolare.
Giovedì Santo, il significato dell’ultima cena
Nonostante la denominazione popolare, è fondamentale comprendere il vero significato teologico e liturgico dell’Altare della Reposizione. La Messa nella Cena del Signore del Giovedì Santo riveste un ruolo centrale, poiché durante questa celebrazione viene istituita l’Eucaristia. Al termine di questa Messa, l’Eucaristia consacrata viene solennemente riposta e conservata nell’Altare della Reposizione. Questa riserva eucaristica ha un duplice scopo teologico. In primo luogo, permette la distribuzione della Comunione ai fedeli durante la liturgia del Venerdì Santo, giorno in cui, per antica tradizione, non viene celebrata la Messa.2 In secondo luogo, invita i fedeli all’adorazione del Santissimo Sacramento nella sera del Giovedì Santo e nella notte tra Giovedì e Venerdì Santo, in memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e in meditazione sui misteri della Passione di Cristo, in particolare sull’agonia nel Getsemani. L’Eucaristia, in questo contesto, simboleggia la presenza continua di Cristo con i suoi discepoli, anche nel momento della Passione. L’allestimento solenne dell’Altare della Reposizione, spesso arricchito da composizioni floreali e altri simboli, riflette l’onore dovuto all’Eucaristia.2 Significativamente, la Messa nella Cena del Signore si conclude senza il congedo finale, sottolineando la continuità con la solennità del Venerdì Santo.
L’Altare della Reposizione non è il Santo Sepolcro di Cristo
È cruciale ribadire che l’Altare della Reposizione non rappresenta la tomba di Cristo dopo la sua morte. La sua funzione primaria è la conservazione dell’Eucaristia consacrata fino alla liturgia del Venerdì Santo. La sera del Giovedì Santo, l’altare maggiore della chiesa viene solitamente spogliato, simboleggiando la spoliazione di Cristo prima della crocifissione.6 Anche il tabernacolo sull’altare maggiore rimane vuoto, evidenziando che l’Eucaristia è stata trasferita all’Altare della Reposizione. Quest’ultimo è spesso allestito in una cappella laterale o in un’area separata della chiesa, distinta dal luogo in cui si trova abitualmente il tabernacolo.2 Le decorazioni dell’Altare della Reposizione, pur nella loro solennità, sono volte a onorare l’Eucaristia e non a raffigurare una scena di sepoltura, sebbene il termine “sepolcro” possa indurre alcuni a pensarlo. Infatti, il “Direttorio sulla Pietà popolare e Liturgia” raccomanda di evitare di conferire all’altare della reposizione l’aspetto di un luogo di sepoltura.
Astinenza dalla carne e digiuno: cosa indicano le Conferenze Episcopali
Per quanto riguarda le pratiche di digiuno e astinenza durante il Triduo Pasquale, la Chiesa Cattolica prevede norme specifiche. Il digiuno e l’astinenza sono forme di penitenza e preparazione spirituale. Le norme attuali sono principalmente delineate nel Codice di Diritto Canonico e ulteriormente specificate dalle Conferenze Episcopali, come quella Italiana (CEI). I giorni di digiuno e astinenza obbligatori per la Chiesa universale sono il Mercoledì delle Ceneri e il Venerdì Santo. Il digiuno consiste nel consumare un solo pasto completo durante la giornata, con la possibilità di assumere una leggera colazione e cena. L’astinenza dalle carni comporta l’astensione dal consumo di carne di mammiferi e volatili, mentre sono generalmente permessi pesce, uova e latticini. L’obbligo del digiuno riguarda i fedeli dai 18 ai 59 anni, mentre l’astinenza dalle carni è richiesta a partire dai 14 anni. Sono previste esenzioni in caso di malattia, gravidanza e altre condizioni particolari.
Per quanto concerne specificamente il Giovedì Santo, è importante chiarire che l’obbligo di astinenza dalle carni legato al periodo quaresimale cessa con l’inizio del Triduo Pasquale, che ha luogo con la Messa nella Cena del Signore nella sera del Giovedì Santo. Pertanto, non vi è un obbligo generale per i cattolici di astenersi dalla carne il Giovedì Santo. L’astinenza è specificamente prescritta per il Venerdì Santo, giorno in cui si commemora la Passione e la Morte del Signore. Alcune persone o famiglie possono scegliere di continuare l’astinenza per devozione personale, ma non si tratta di un precetto vincolante per la Chiesa universale. Storicamente, prima del Concilio Vaticano II, le norme sul digiuno e l’astinenza durante la Quaresima e la Settimana Santa erano più rigorose. Tuttavia, l’attuale disciplina si concentra sul Venerdì Santo come giorno principale di astinenza in questo periodo. Il Giovedì Santo è liturgicamente incentrato sull’istituzione dell’Eucaristia e sulla lavanda dei piedi, segnando il passaggio dalla Quaresima al Triduo Pasquale.
Per quanto riguarda il Venerdì Santo, come già accennato, vige l’obbligo sia del digiuno che dell’astinenza dalle carni per i cattolici che rientrano nelle fasce d’età stabilite. Per il Sabato Santo, invece, non sussiste un obbligo generale di astinenza dalle carni, poiché il periodo quaresimale è terminato dopo la Messa vespertina del Giovedì Santo. Tuttavia, la Conferenza Episcopale Italiana (CEI) raccomanda di prolungare il digiuno e l’astinenza fino alla Veglia Pasquale nella notte del Sabato Santo. Molti fedeli scelgono di seguire questa raccomandazione come segno di solidarietà con la Passione di Cristo e in attesa della gioia della Resurrezione. Il Sabato Santo è un giorno di silenzio e attesa, in cui non si celebra la Messa fino alla solenne Veglia Pasquale.
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