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Cos’è e a cosa serve un Pacemaker

Un pacemaker
Un pacemaker

Il pacemaker è un dispositivo medico salvavita che regola il ritmo cardiaco quando il cuore non riesce a mantenere una frequenza adeguata. La sua evoluzione tecnologica ha trasformato la qualità di vita di milioni di pazienti con disturbi del ritmo cardiaco.

Cos’è un Pacemaker e quando è necessario

Il pacemaker è un piccolo dispositivo elettronico che viene impiantato sotto la pelle del torace per regolare il battito cardiaco. È composto da un generatore (che contiene la batteria e i circuiti elettronici) e da elettrocateteri che vengono posizionati nelle camere cardiache. Questo dispositivo è necessario quando il sistema elettrico naturale del cuore non funziona correttamente. Le indicazioni principali per l’impianto includono la disfunzione del nodo del seno (il pacemaker naturale del cuore) e i blocchi atrioventricolari, condizioni in cui gli impulsi elettrici non si propagano normalmente tra le camere cardiache. In particolare, il blocco atrioventricolare di primo grado molto marcato (quando l’intervallo P-R sull’elettrocardiogramma è superiore a 300 ms) può causare sintomi che richiedono l’impianto di un pacemaker. Sebbene l’1-2% della popolazione generale presenti un intervallo P-R superiore alla norma, solo in casi selezionati diventa necessario questo intervento.

La procedura di impianto

L’impianto di pacemaker avviene durante un breve ricovero ospedaliero di 3-4 giorni. L’intervento viene eseguito in anestesia locale e richiede una piccola incisione nella parte alta del petto per creare una “tasca” dove inserire il dispositivo. Gli elettrocateteri vengono introdotti attraverso le vene identificate nella zona dell’incisione e, mediante fluoroscopia (raggi X), guidati verso le camere cardiache dove verranno posizionati nel punto ottimale. Successivamente, gli elettrocateteri vengono fissati al cuore e collegati al pacemaker, di cui viene programmato il funzionamento. L’intera procedura dura generalmente tra i 45 e i 90 minuti, al termine dei quali l’incisione viene richiusa con punti riassorbibili. La tecnologia più recente ha sviluppato anche pacemaker leadless (senza fili) e sistemi bicamerali che possono essere impiantati per via percutanea, aumentando le opzioni terapeutiche disponibili.

Rischi e durata del dispositivo

Come ogni intervento chirurgico, l’impianto di pacemaker comporta alcuni rischi, seppur rari. Le complicanze precoci possono includere pneumotorace (quando viene accidentalmente punto il polmone) o, molto raramente, perforazione cardiaca. Più frequenti sono le complicanze tardive, come la formazione di ematoma nella tasca del pacemaker (più comune in pazienti che assumono anticoagulanti) o infezioni che possono diffondersi agli elettrocateteri, causando endocardite batterica. Il rischio complessivo di complicanze dipende principalmente dalle caratteristiche del paziente, dalla sua anatomia e da eventuali patologie croniche come scompenso cardiaco, diabete o insufficienza renale. Per quanto riguarda la durata, la batteria di un pacemaker funziona generalmente per 4-5 anni. Durate inferiori sono rare e legate a un elevato consumo energetico. Durante i controlli periodici, l’elettrofisiologo può informare il paziente sulla durata residua prevista della batteria.

Convalescenza e ritorno alle attività

La convalescenza dopo l’impianto di un pacemaker è relativamente breve. Il paziente può essere dimesso dopo 36-48 ore dall’intervento. Tuttavia, nelle prime settimane è fondamentale prestare attenzione ad alcuni aspetti: evitare movimenti bruschi che potrebbero spostare gli elettrocateteri, non sollevare pesi, non guidare per almeno una settimana e proteggere la zona dell’impianto da colpi che potrebbero danneggiare il dispositivo. È consigliata una terapia antibiotica per la settimana successiva all’intervento. Il primo controllo avviene generalmente dopo 2-3 mesi dall’impianto, seguito da visite annuali, salvo situazioni particolari. Il ritorno alla vita normale è garantito al 100%, inclusa l’attività fisica, sebbene sia raccomandato evitare sport che prevedono contatto fisico per prevenire danni al dispositivo. Nella maggior parte dei casi, l’impianto avviene attraverso la vena succlavia sinistra, permettendo così al paziente una maggiore mobilità dell’arto destro (solitamente dominante) durante la fase post-operatoria.

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