Abbiamo intervistato una giovane promessa del cinema e della televisione italiana, Miriam Galanti. Con lei abbiamo parlato di vari temi di spettacolo, televisione e arte.
Alla Festa del Cinema di Roma ha partecipato alla presentazione del continuo della serie TV “Vita da Carlo 3”, diretto da Carlo Verdone e Valerio Vestoso. Come è stato lavorare con Verdone e quali sono i suoi progetti futuri?
Lavorare con Carlo Verdone è stato un sogno realizzato. È un’icona del nostro cinema, un maestro della commedia italiana capace di raccontare con leggerezza e profondità la realtà del nostro paese. Sul set è meticoloso, ma allo stesso tempo ti lascia uno spazio prezioso per improvvisare, un regalo raro per un attore. Anche Valerio Vestoso condivide questo approccio, creando un ambiente di lavoro stimolante e collaborativo. Mi sono sentita parte di una squadra, e questo rende l’esperienza ancora più significativa.
Quanto ai progetti futuri, sto lavorando su alcune idee personali, tra cui il mio monologo teatrale Vita da bionda, con la regia di Giorgia Ciotola. In più ho in cantiere la scrittura di un cortometraggio su un tema che mi sta molto a cuore.
Qualche anno fa ha presentato un programma su SkyArte, Sei in un paese meraviglioso, raccontando le ricchezze storiche, culturali e paesaggistiche dell’Italia. Quali sono stati i posti che l’hanno colpita di più?
Lavorare con Dario Vergassola è stata una scuola preziosa. Dario è un uomo di grande cultura, ma ciò che colpisce di più è la sua curiosità quasi infantile, quella genuina voglia di scoprire che rende tutto più creativo. È stato un viaggio bellissimo, anche se impegnativo: i ritmi erano intensi, ma ci siamo divertiti un sacco.
Tra i posti che mi hanno colpita di più ci sono sicuramente le saline di Margherita di Savoia in Puglia, tra le più grandi al mondo. Sembrava di essere in montagna, circondati dalla neve: tutto bianco e accecante. Abbiamo deciso di girare la puntata vestiti da montagna… a luglio, con 35 gradi! Berretti di lana merinos e giacconi pesanti: diciamo che è stato un modo per smaltire tutte la focaccia e i pasticciotti che ci siamo mangiati in quei giorni.
La recitazione è stata per lei un’esigenza, definendola una terapia. Come riesce a tirar fuori le paure e le emozioni negative senza che queste si trasformino in un blocco emotivo?
In realtà il blocco emotivo l’ho avuto per anni prima di iniziare a recitare. Tenevo tutto dentro, spesso senza nemmeno rendermene conto, come se le emozioni negative non avessero diritto di esistere. La recitazione, invece, mi ha insegnato a dare spazio a quei sentimenti, ad ascoltarli e trasformarli in qualcosa di creativo. È un lavoro continuo, ma sul palco o davanti alla macchina da presa succede come una piccola magia: tutto quello che nella vita sembra un peso trova una sua forma, un suo perché. Per me recitare è un modo per riconoscere le mie paure, guardarle in faccia e trasformarle in un racconto, anziché farmi paralizzare da loro. Certo, queste paure e ansie non le ho sconfitte, anzi. So che faranno sempre parte di me. Cerco di accettarle e di imparare a conviverci, giorno per giorno. D’altronde, senza di loro chi sarei? Una di quelle persone zen che bevono tisane e sorridono al nulla? Non fa per me, senza un po’ di casino dentro, mi annoio.
Ha preso parte a film, cortometraggi e fiction. I non addetti ai lavori dicono che il cinema è “più difficile”, mentre ritengono i corti e soprattutto le fiction meno professionali. Cosa può dire per confermare o smentire queste premesse?
Devo essere sincera, non sapevo che ci fosse questa percezione. Posso dire che ci sono cortometraggi che sono dei capolavori, veri e propri film in miniatura, e serie tv realizzate con una minuzia e una professionalità straordinarie. Insomma, prodotti belli davvero, capaci di emozionare e di sorprendere anche i più scettici. Secondo me, la differenza la fa sempre la scrittura: senza un buon soggetto e una buona sceneggiatura è difficile ottenere un prodotto valido, indipendentemente dal formato. Poi, ovviamente, conta l’approccio creativo di tutta la squadra. Il budget è importante, certo, ma oggi, grazie alla tecnologia, si possono realizzare opere di qualità anche con pochi mezzi, purché ci sia talento e passione.
Si discute di possibili riassetti normativi per il supporto dello Stato al cinema. Lei ritiene che si stia facendo abbastanza o si debba fare di più?
Certo che bisogna fare di più. Bisognerebbe incentivare maggiormente l’investimento dei privati nel cinema, e questo si può ottenere attraverso leggi che offrano sgravi fiscali significativi. Serve un sistema che renda il cinema non solo un atto culturale, ma anche un’opportunità economicamente interessante per i privati, creando un circolo virtuoso tra arte e mercato. Solo così possiamo garantire non solo la sopravvivenza, ma anche la qualità e il rilancio di un settore fondamentale per la nostra identità culturale.
Inoltre servono più tutele per tutte le figure che lavorano nel settore, dalle maestranze agli attori, perché il cinema è fatto di tante professionalità che contribuiscono al prodotto finale.
Ad esempio, per noi attori, c’è UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo), che sta lavorando per creare più tutele e diritti. Per garantire un futuro al nostro cinema, servono politiche più strutturate e un investimento più deciso nella cultura e nelle persone che la rendono possibile.
Un suo commento a questa frase ” La bellezza è promessa di felicità “, in particolare la felicità è di chi la possiede o di chi la osserva perché, In definitiva, la bellezza è sempre negli occhi di chi guarda?
Virzì in Ovosodo dice: “La felicità è la malattia degli imbecilli.” E forse ha ragione, perché questa storia della bellezza come promessa di felicità è un po’ una trappola: ti illudi che se ce l’hai sarai felice, o che guardandola sarai felice. Ma poi scopri che quella felicità è fragile e momentanea. Meglio puntare su qualcosa di più pratico, tipo un buon bicchiere di vino ad un bancone.
Da romana d’adozione vorremmo sapere qual è il suo quartiere preferito di Roma e perché. Adoro camminare per le viette del centro storico: Piazza Navona, Piazza Farnese, Campo de’ Fiori, Via dei Coronari, Piazza dell’Orologio… Mi mettono allegria. C’è un fermento che riesce a creare fermento anche dentro di me. E poi, nel periodo natalizio, mi piace passeggiare per San Pietro e Via Ottaviano, perché mi ricordano la me di qualche anno fa, appena arrivata a Roma, con la meraviglia negli occhi. I primi miei anni li ho vissuti proprio in Prati. Però oggi amo moltissimo anche Monteverde Vecchio, il quartiere in cui vivo ora: è un’oasi di calma con una vista su Roma che non stanca mai.
Ancora nessun commento.