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Intervista a Flavio Parenti

Flavio Parenti
Flavio Parenti

Questa settimana Il Radar approfondisce il mondo dello spettacolo con un’intervista a un’artista, attore, scrittore, poeta e, abbiamo scoperto, anche appassionato di matematica e informatica, Flavio Parenti

Recentemente hai lavorato a due fiction che abbiamo guardato, “Margherita delle Stelle” e “La lunga notte del Duce”. Vorrei chiederti come ti sei trovato all’interno del cast e se in qualche modo, si sia sentita l’influenza storica della vita dei personaggi e degli eventi che si andavano a trasporre nel cinema?

Sono arrivato a entrambi i lavori tramite provini perché ho questa sana abitudine di continuare a chiedere di fare provini senza accettare i ruoli prima di essere stato provinato. Il provino serve anche a capire come si può lavorare con le persone, se ci si trova bene a prescindere da quello che è il progetto cinematografico.
Si tratta di due prodotti che si attraversano la storia dell’Italia. Paradossalmente anche il “Paradiso delle Signore” racconta un mondo dell’Italia degli anni Sessanta. L’influenza storica si è sentita soprattutto su “La lunga notte”, cioè sul lavoro riguardante il duce e la caduta del Fascismo. Interpretavo il re Umberto II di Savoia. Uno degli aspetti piacevoli della recitazione è quello di essere costretti a studiare per interpretare il personaggio. Dal momento in cui sai dover interpretare un personaggio, in questo caso Umberto II, i tuoi occhi vanno a cercare in giro degli elementi che normalmente sono in giro, ma tu non avresti visto perché non avevi la prospettiva corretta. Recitare da questo punto di vista ti obbliga a cambiare prospettiva e quindi, ti costringe ad arricchirti studiando campi che magari non ti interessano o non sono relativi alla recitazione e all’arte. Per quanto riguarda Aldo De Rosa in “Margherita delle Stelle” in realtà non l’ho studiato perché il materiale era molto meno. Quello che mi interessava era riuscire a restituire un uomo che si era messo totalmente, per amore, al servizio della squadra, della coppia. Si tratta di una cosa molto rara, da una parte e dall’altra perché le donne spesso sono al servizio dell’uomo, e non della coppia, e gli uomini, invece, sono al servizio di sé stessi e non della coppia. Ovviamente questo accade per cultura e tradizione, ma adesso le cose sono un po’ cambiate. Quello che mi è piaciuto molto della fiction su Margherita Hack è proprio la visione, così anticonformista, degli archetipi. Margherita Hack è un archetipo anti-conformista. I suoi genitori erano vegetariani già negli anni Quaranta. Anche Aldo De Rosa è anticonformista perché è un uomo che si è donato a sua moglie. Questo aspetto rivoluzionario mi è piaciuto molto.

Una domanda da fan del prodotto, ricordo che hai partecipato anche a “Distretto di Polizia”. Mi puoi raccontare qualcosa dell’implementazione e del clima che si respirava sul set, del cast e del tuo rapporto con altri membri del cast?

Quando sono arrivato a fare Distretto, venivo da “Io sono l’amore” e da due film con Cattleya, uno di Sergio Rubini “Colpo d’occhio” e il primo film d’esordio di Silvio Muccino, ”Parlami d’amore”. Stavo girando un film di Citto Maselli dove facevo l’assistete di Herlitzka. Dissi “guarda Roberto ho avuto una proposta per fare una serie TV”. Come se fosse una cosa brutta fare una serie TV. Venivo dal teatro e la televisione era vista come un elemento molto popolare e poco intellettuale, per un certo tipo di salotti che ora hanno cambiato idea. Herlitzka mi disse che all’inizio della sua carriera gli proposero di fare un ispettore lui accettò e grazie a questo era riuscito a guadagnare molti soldi. Questa sua risposta mi riportò nell’essere attore come lavoro.
Ti racconto un aneddoto, io fatto il teatro stabile di Genova che all’epoca era considerata la migliore scuola d’Italia. Dei miei compagni di corso forse siamo rimasti in due a recitare gli altri la vita li ha portati a lavorare in altri campi.Il set è stato uno spasso assoluto. Mi sono divertito tantissimo correndo, arrestando persone, sorridendo. Mi trovavo bene con tutti, con Simone Corrente, con Giulia Bevilacqua e Anna Foglietta, ma con tantissimi altri attori che adesso lavorano tanto. Sono stati due anni molto divertenti. È stato un piacere lavorare a quella serie.

Cosa puoi dirmi di Muccino, Guadagnino, Stefano Reali, Woody Allen e gli altri registi che ti hanno diretto?

Ho avuto la fortuna di recitare con grandissimi registi ad esempio i fratelli Taviani, Liliana Cavani, Luca Guadagnino, Pupi Avati, Peter Greenaway, Woody Allen. Da questo punto di vista sono stato molto fortunato. Ho adorato Peter Greenaway. Ha una visione del cinema assolutamente unica e personale, non crede nella continuità, crede nel linguaggio onirico, nella rappresentazione visiva perché quella è la potenza del cinema. Il cinema è diventato sempre più uditivo, si parla di più e si mostra di meno. È giusto che l’udito abbia recuperato sull’immagine, ma il cinema degli anni Settanta era un cinema fatto di immagini. Per me l’opera summa, il Rinascimento cinematografico sono stati gli anni di Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, George Lucas e Steven Spielberg, gli anni Settanta e Ottanta quando Il cinema era figlio della grande immagine, dell’inquadratura perfetta ma con un desiderio fondamentale di emozionare. Lo rendevano pop, con un’estetica quasi artistica, una bellezza che non si è più trovata nei decenni a venire. Il linguaggio che c’era negli anni Settanta era un linguaggio aulico. Pensa ad esempio alle inquadrature ultrasimmetriche di Kubrick, oppure pensa alle inquadrature di E.T., al taglio dei cattivi di Spielberg. Il suo taglio famosissimo delle scarpe che scendono dalla macchina per introdurre il cattivo, oppure quello di Indiana Jones che recupera il cappello. Erano registi di immagine ma E.T. è un film che mi ha fatto commuovere.

Sappiamo che tu hai la passione di giocare a scacchi e hai vinto anche qualche torneo.

Ho vinto un torneo al quale sono stato invitato, come attore, quindi non ho pagato la tassa di iscrizione, ma poi ho vinto e mi sono portato via il premio. Mi sono vergognato, mi sono sentito malissimo. Si trattava di un Open B cioè un torneo al quale partecipano non i grandi maestri, ma coloro che sono candidati maestri, la seconda categoria. Penso di aver vinto anche perché nessuno si aspettava che io sapessi giocare. Verso i 39 anni e mezzo mi sono detto che prima dei 40 anni avrei dovuto superare il punteggio 2300 in blitz su internet. Si tratta di un punteggio di forza. Mi sono offerto delle lezioni con un grande maestro. Per 3 mesi e ho studiato come un matto fino a 4 ore al giorno. Sono arrivato al punteggio 2304 al 19 maggio, il giorno del mio compleanno e ho pianto per questo. Mi sono reso conto di quanta fatica facciano i professionisti, si tratta di persone che danno veramente tutto per essere di dove sono.

Si tratta di un gioco estremamente affascinante secondo il numero di Shannon le mosse possibili sono maggiori degli atomi dell’universo.

Le possibilità di sequenze sono superiori al numero di atomi dell’universo già dopo 12 mosse. Nel 1998 Kasparov perse contro Deep Blue e fu il momento nel quale la macchina decretò il dominio sull’intelligenza umana. Tutti pensavano che gli scacchi fossero morti perché se le macchine sono più forti degli uomini a che prò continuare a giocare? La cosa più bella è che gli scacchi non sono mai stati così popolari come ora nemmeno durante gli scontri tra Bobby Fischer e Spassky durante la guerra fredda.Il piacere è giocare tra esseri umani usando la macchina come strumento di studio. Quello è il vero senso del Machine Learning e degli algoritmi che adesso si stanno affermando. Non sostituire l’uomo, ma aiutarlo a migliorare, ad essere più preciso e ad arrivare lì dove non sarebbe riuscito ad arrivare senza quegli strumenti.Quando ero piccolo avevo 13 anni e a Milano, alla Città della Scienza, c’era una persona del Mensa che faceva i test preliminari. Ero lì e questa persona mi chiese se volessi fare il test e lo feci, il risultato fu molto buono e questa persona mi disse perché non provi a fare il test vero e proprio? Mentre mi raccontava che cosa facevano nella loro attività mi stava raccontando la sua vita. Io pensai questo sarà anche intelligente ma non è felice. Penso che serva l’intelligenza in senso trasversale.

Mi chiedevo da attore teatrale ad attore cinematografico a scrittore, cosa è stato che ti ha spinto maggiormente a scrivere?

Scrivevo storie da quando avevo 8 anni e creavo anche dei fumetti. Ho studiato la scrittura durante tutto il mio percorso artistico sia dal punto di vista della lettura sia i meccanizzatori partendo da Aristotele. Dentro invece un grande desiderio che mi ha portato a recitare e a fare il regista. Al teatro stabile di Genova a 24 anni ero regista dei miei testi. A 25 avevo uno spettacolo in cartellone e un’altra regia da fare sempre di un mio testo. Poi dopo ho continuato a scrivere e produrre sceneggiature, film e serie TV interattive. Ho prodotto una serie TV nella quale tu puoi spostarti durante il giorno ad esempio seguire un personaggio che arriva in un caffè, questo personaggio parla con una donna e alla fine del loro dialogo tu puoi decidere se seguire la donna, oppure seguire il personaggio che le parlava. In questo caso non l’ho scritta ma l’ho prodotta.

Un po’ come il videogame Fahrenheit?

Esatto una scrittura non lineare ma ramificata però l’interattività non era sulla scelta della storia ma sul punto di vista. All’epoca non riuscii a creare una casa di produzione che facesse utili quindi ho smesso di produrre audiovisivo e ho investito in una società dei videogiochi. Anche lì ho scritto un copione. A Genova ho incontrato cinque persone, cinque scappati di casa, esperti di computer, ai quali ho detto voglio fare un videogioco voi siete capaci di farlo? Avevo dei soldi da parte perché avevo appena girato “Un medico in famiglia” e nei successivi due anni ho cercato di sostenere questa idea. Sono stato invitato da Facebook e da Google per parlare di realtà virtuale. All’epoca avevano appena comprato Oculus la società che poi è diventata Meta e ancora non c’era stata tutta quella trasformazione sulla realtà virtuale.
Adesso la società della quale facevo parte va da sola, si trova a Genova e ha 35 dipendenti. Io li seguo su Discord. Attualmente lavoriamo alla scrittura parametrica. Abbiamo un gioco di questo tipo in uscita a settembre. Come si può scrivere una storia usando solo parametri matematici. Non è più una storia lineare, ma basata sulla modificazione dei parametri. Possono essere gli obiettivi, le emozioni, i desideri, le necessità.

È possibile giocare con qualche console?

Il gioco è su Steam, la piattaforma PC ed è ancora in sviluppo per un anno. È ambientato in una città degli anni Ottanta, post atomica. 

Cosa pensi dell’intelligenza artificiale? Credi che l’uso possa essere un’opportunità e l’abuso possa essere male o in generale sia solo un’opportunità? 

Si tratta di una ricerca che sto facendo da più di un anno. Mi posso occupare di una parte della realtà che mi riguarda: la creatività. Si tratta di una caratteristica che è profondamente toccata dagli algoritmi di intelligenza artificiale, pensa a Chat GPT, per i testi, ma anche a Sora, per i video, che è ancora in fase di sviluppo. Ho pensato che lo scrittore torna a diventare il motore di tutto, sono algoritmi basati su istruzioni a prompt quindi lo scrittore è più importante di tutto. La macchina è uno strumento razionalizzante, quando noi riusciamo a comprendere qualcosa lo mettiamo in una macchina per permettergli di riprodurlo, o comunque di rifarlo, con tempi e fatica molto inferiore permettendoci quindi di continuare la nostra ricerca verso orizzonti nuovi. Penso che l’intelligenza artificiale sia uno strumento così come lo erano la calcolatrice e il mouse. L’uomo deve andare alla ricerca dell’ignoto, l’artista è un essere umano che va alla ricerca della creatività. Dopo che una cosa è stata raccontata all’intelligenza artificiale, questa sarà capace di raccontarla di nuovo perché l’intelligenza artificiale non fa altro che ripetere ciò che già è stato fatto. Viviamo in una realtà senza confini quindi la nostra ricerca non finisce mai. Per questo penso che l’intelligenza artificiale sia più una possibilità per ottimizzare le attività umane piuttosto che un pericolo.  È fondamentale, nella nostra società avere un trittico, legare la persona al prodotto e al pubblico. In questo modo si crea quella che potrebbe essere definita una “fiducia”. Il prodotto della persona è un derivato che non può essere scisso dalla persona. Se l’artista riesce a creare questa fiducia allora il pubblico sceglierà sempre il suo prodotto e mai quello dell’intelligenza artificiale perché l’intelligenza artificiale non ha la dimensione umana. L’artista può dire al pubblico “Io sono un essere umano come voi, ho le vostre stesse paure, i vostri stessi limiti e i vostri stessi problemi e affronto queste cose con un libro, oppure con un dipinto”. 
Io ad esempio mi sento bene quando scrivo una storia. A breve uscirò con L’Anello di Saturno che è un Fantasy, ma è anche una storia romantica. 

Hai scritto il primo dei 5 volumi, come farai a sapere che sono 5 volumi? L’hai scritta già tutta?

Sì, non avrei mai permesso la pubblicazione se non avessi scritto tutta l’opera. Devo sapere esattamente come finisce la storia se voglio che il mio inizio echeggi il finale e il finale echeggi l’inizio. 

Si tratta di un fantasy, un romanzo illustrato o stile manga?

Non è illustrato. La storia si svolge alla metà degli anni Novanta. Un ragazzo da Parigi arriva ad Anagni nelle colline ciociare. È un ragazzo fragile che non ha mai fatto amicizia con nessuno perché i genitori hanno sempre viaggiato e non è riuscito mai ad avere dei legami stabili in nessun paese. In una biblioteca, legge casualmente i fumetti di Nathan Never. Qui incontra una bellissima ragazza appassionata di archeologia. Insieme scoprono l’esistenza dell’anello di Saturno. Pare che questo anello dia la possibilità, a colui che lo indossa, di rifare una propria scelta. Per me scrivere questo libro è stato un grande viaggio in quegli anni nei quali si andava tutti in piazza, senza telefonini e ci si sedeva sugli scalini, quando compravi un sacchetto di patatine e dentro trovavi le manine. Un richiamo al mondo che ora appare talmente distante e talmente romantico. L’ho scritto in modo che i giovani fossimo noi dell’epoca, ma i genitori siamo noi di adesso, diciamo una doppia relazione.

C’è un po’ di autobiografia?

Ho deciso di partire con un pezzo di me e poi di volare via per dare peso alle prime parole. Un modo per affrancarmi definitivamente da un dolore che mi sono portato dentro per tanto tempo, ma che adesso è diventato il mio motore. 
Anche gli altri protagonisti sono persone che conosco, ma che ovviamente ho deformato con la mia fantasia. Invece il narratore di questa storia è narratore onnisciente ed è il destino. Volevo qualcuno che mi raccontasse la storia che non fosse l’autore. 

Il destino è un po’ monello? 

Il destino è ordinato, vuole che tutto vada bene ed è il contrario del monello. Lui prepara tutto con ordine, ma c’è un elemento che continua a rompere le trame che ha preparato ed è l’amore. L’incipit del libro è costituita proprio da una dichiarazione del destino che dice molte eternità fa ero riuscito a mettere in ordine l’universo. Era talmente ordinato che poteva stare nella punta di uno spillo. Poi si è distratto per un attimo, il tempo di un battito di ciglia, e l’amore ha provocato il Big Bang. Questo per dirti che l’universo è un prodotto dell’amore e che questi due ragazzi, Luca e Anna, sono fatti della stessa materia che l’amore unì all’inizio dei tempi. Il primo volume è un romance giovani adulti, il secondo romance drammatico, il terzo un romance thriller, il quarto è un volume d’avventura e il quinto di letteratura contemporanea. 

 Sono previste presentazioni in giro per l’Italia?

Sì. Certamente sarò al salone di Torino dove ci sarà la presentazione ufficiale. Il libro esce il 2 maggio ed è disponibile anche come audiolibro recitato da me. Devo dire che sono molto soddisfatto di questo perché si tratta di un libro scritto da me, recitato da un attore che è anche l’autore e che sono io. 
Dopo Torino sarò a Catania all’Etna Comics. 
Stiamo provando anche a organizzare una presentazione ad Anagni, come omaggio a una città molto bella. Ma ancora non abbiamo conferme. 
Mi piacerebbe farne qualcuna anche a Napoli. Napoli è una città che ti accoglie sempre benissimo, sei sempre contento quando vai via da Napoli perché ti hanno trattato bene e ti sei sentito amato. Questo è raro, non accade in tutte le città. 
Uscirò con un volume ogni tre mesi. Altre opere simili sono state pubblicate con una cadenza semestrale. Gli americani invece lo fanno ogni mese. 

Parlando con te si nota che sei una persona preparata, educata, socievole, rispettoso del prossimo. Non sono qualità scontate al giorno d’oggi purtroppo. Si crea uno stereotipo spesso per il quale l’attore vive in un mondo suo separato da quello dei comuni mortali. Ci puoi dire se si tratta solo di uno stereotipo oppure in qualche caso potrebbe essere così?

Fare l’attore è un lavoro semplice. Spesso i migliori, quelli che eccellono, così come ad esempio nelle altre arti oppure nel ballo, sono coloro che riescono ad avere la capacità di restare in contatto con sé stessi, con il proprio io interiore, con le proprie emozioni. Oltre ad avere una tecnica, allenare la voce o il fisico. Spesso le persone che fanno questo lavoro hanno una relazione diretta con le proprie emozioni e molti di loro appagando la dimensione emotiva non hanno necessità di appagare altre dimensioni. Penso che l’unica differenza tra me e molti miei colleghi sia solo di avere una grande voglia di fare e di produrre, ma si tratta di un profilo atipico. Quindi c’è un fondo di verità, ma ogni artista va visto nel suo intero arco di carriera. Spesso gli artisti diventano famosi postumi perché solo allora sono capiti. 

Ringraziamo Flavio Parenti per averci concesso questa intervista, per la disponibilità e la cortesia e per il fatto di averci fatti sentire come in una chiacchierata tra amici piuttosto che in un dialogo tra intervistatori e intervistati.

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