Il 27 marzo 2020 il mondo era nel pieno della pandemia da Covid-19 e l’Italia faceva i conti con la peggiore crisi dalla seconda guerra mondiale. Quel giorno, era un venerdì, mancavano 2 settimane al venerdì santo e Papa Francesco aveva organizzato una preghiera per la fine della pandemia, una preghiera mandata in onda in mondovisione. Una scena suggestiva, meravigliosa, nella quale la forza evocativa delle immagini si univa al grido del silenzio della piazza più famosa del mondo, piazza San Pietro in Vaticano. Un uomo da solo davanti a una scala con sull’altare il crocifisso di San Marcellino. Per chi ha vissuto quel giorno, per chi lo ha guardato, per chi ha sentito la storia entrare nei battiti del proprio cuore, è difficile non ricordare il peso del respiro di quegli istanti. Ebbene sì, io c’ero e l’ho visto, e grazie a Dio ci sono ancora. È stato un momento duro, a tratti brutto ma con le sue cose belle perché nella solitudine assoluta delle famiglie costrette ciascuna nel proprio spazio domestico qualcuno è riuscito a ritrovare sé stesso e i sentimenti che ci rendevano parte di una comunità. Io stesso ho perso la mia mamma un anno più tardi proprio a causa del Covid-19. Ma se in quel momento del tempo e in quel luogo dello spazio si aveva bisogno di una speranza io riuscii a trovarla anche grazie al fatto che stavo scrivendo un articolo su quanto stava accadendo, articolo poi pubblicato su ildigitale.it. Fu quello il momento nel quale capii che stavamo vivendo una tragedia collettiva della quale eravamo tutti parte ma in quella tragedia, sotto la pioggia di Piazza San Pietro, c’era sempre una fiamma, leggera, ma inesorabile, la luce di quei ceri che, a seconda dell’essere credenti o meno, impersonava la forza della fede. Inoltre il dono a ognuno, l’indulgenza plenaria, il perdono di Dio concesso a tutti. La conclusione con il papa che benediceva i 4 punti cardinali e che consacrava, ancora una volta, Roma come centro della fede e del mondo, è rimasta negli occhi e nelle coscienze di miliardi di persone. Per quel giorno non posso che dire grazie nel mio ricordo di oggi. A distanza di 4 anni, dal profondo dell’animo sento di voler regalare un grazie vero e sincero alle persone che nella distanza di quella solitudine hanno saputo obbligarmi a trovare una gioia e conservare una speranza. A coloro che c’erano e non ci sono perché la vita li ha portati via, a coloro che non ci sono perché hanno scelto di andarsene, ma che nel mio cuore sono presenti, saranno sempre dentro di me e con me perché quando condividi momenti simili con qualcuno leghi un po’ la tua anima alla sua e questo non ha bisogno di parole. Pensando a quel giorno, ho ritrovato la fede, ho guardato la fiamma, ho visto le persone belle che sono state una luce nel tunnel della pandemia. Ci sarà qualcuno che potrà pensare che sto esagerando. Vorrei rispondere con una citazione di Lucio Battisti “Capire tu non puoi, tu chiamale se vuoi Emozioni”. Di quel giorno mi è rimasto tutto, la presenza della mia mamma, la visione e l’ascolto del pontefice, i messaggi scambiati con chi dirigeva Il Digitale mentre scrivevo l’articolo e soprattutto il ricordo del profumo della storia, di quel giorno mi sono rimaste le emozioni. Dentro me, nel mio corpo, nelle mie vene, nel mio cuore, nella mia anima. Un grazie sincero a tutti coloro che hanno vissuto quei momenti, a chi insieme a me scriveva in quel giornale chiamato Il Digitale, che non è e non sarà mai un concorrente, ma sempre una testata amica, e alla luce di quella candela che ci ha condotti in acque agiate e porti sicuri. Tu chiamale se vuoi Emozioni.
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