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Il teatro e la musica d’opera: Intervista al tenore Roberto Cresca

Il tenore Roberto Cresca - foto concesse da Roberto Cresca
Il tenore Roberto Cresca - foto concesse da Roberto Cresca

Proseguono le interviste di approfondimento del Radar. Per questa occasione ci siamo avvicinati al mondo dello spettacolo e, in particolare, della musica d’opera e del canto lirico. Abbiamo avuto la possibilità di intervistare il tenore Roberto Cresca, già direttore artistico del Teatro dell’Unione di Viterbo e del Teatro Argentina di Roma. Grazie alla sua cortesia e disponibilità abbiamo potuto indagare questo mondo e siamo in grado di condividere con i lettori quanto abbiamo appreso.

Ci dica di lei, come e quando si è avvicinato alla lirica e quando ha capito che questa sarebbe diventata la sua professione nella vita?

Mi sono avvicinato alla lirica in giovane età. Studiavo pianoforte alla scuola comunale di musica di Nepi, la città della quale sono originario. Dato che mio padre aveva in casa dei dischi d’opera, mi divertivo ad ascoltarli. Un giorno, mentre stavo ascoltando Tosca di Giacomo Puccini, sul finale mi sono profondamente commosso. Ricordo benissimo di essere andato da mia madre chiedendole di iscrivermi al corso di canto lirico e lei accettò immediatamente. Lo feci perché era mio desiderio, almeno una volta nella vita, di interpretare Mario Cavaradossi. Ci sono riuscito e l’ho fatto. Poi ho potuto farlo anche per il festival pucciniano di Torre del Lago, con testi molto molto belli. Quando sono entrato in conservatorio ho pensato che quella sarebbe stata la mia strada, la mia vera professione.

Nel suo lavoro di direttore artistico e nelle sue interpretazioni ha avuto modo di “incontrare” numerosi autori. Posso chiederle se a suo parere ci sono autori che richiedono interpretazioni più difficili di altre? E se esistono, di quali autori si tratta?

Sicuramente tutti gli autori che si incontrano sono complicati perché richiedono uno stile ben preciso, un’interpretazione precisa quindi, bisogna anche essere preparati sullo stile dell’autore che si va ad interpretare. Soprattutto non si devono snaturare le intenzioni vere e proprie del compositore. Sicuramente Verdi, Puccini, il verismo sono molto, molto impegnativi dal punto di vista interpretativo e attoriale. Verdi, soprattutto, credo che sia veramente un autore che ti mette alla prova tecnicamente ma è il genio assoluto per quanto mi riguarda.

Il mondo della lirica si prepara a celebrare Giacomo Puccini nel centenario della morte, che ricorrerà il 29 novembre. Quando si pensa al nome di Puccini lo si accosta inevitabilmente a quello della Turandot. Con il nessun dorma si sono misurati i più grandi tenori di tutti i tempi ma non Enrico Caruso che è morto prima della pubblicazione dell’opera. Mi piacerebbe che ci parlasse di Puccini ma anche del rapporto che i tenori hanno con quest’aria che il mondo ha imparato a conoscere nel 1990 con il concerto dei Tre Tenori.

Puccini, come dicevo, è il mio autore del cuore perché se ho iniziato a studiare canto, e ad avvicinarmi alla lirica, è proprio per lui e soprattutto per Tosca. Sicuramente Nessun Dorma è un’area richiestissima a tutti i tenori soprattutto perché è stata sdoganata in tutte le salse dopo i grandi successi di Pavarotti e dei Tre Tenori. Al di là di questo è da sempre un banco di prova tenorile. Infiamma il pubblico quindi, è molto, molto amata e molto richiesta. Sicuramente, come tutte le arie e le opere di Puccini, è molto vicina alle corde interne e si è coinvolti in un vortice di passioni e sensazioni. È facile che ci si esalti e ci si entusiasmi quando si sentono le composizioni pucciniane e Nessun Dorma sicuramente è una di quelle. Come dicevo è un banco di prova per tutti i tenori. A volte fa un po’ sudare, ci mette in tensione perché tutti aspettano quel si naturale finale, quel Vincerò. Si rischia, a volte, di non cantarlo come la gente si aspetta, soprattutto perché, magari, nelle orecchie hanno incisioni storiche come quella appunto di Pavarotti. I confronti sono inevitabili ma è un’aria che dà sì tante soddisfazioni, ma anche qualche preoccupazione.

Lei e i teatri per i quali lavora, avete in programma degli eventi per commemorare Puccini nel corso dell’anno?

Tutti i teatri e i festival hanno già iniziato ad omaggiare Puccini mettendo in cartellone le sue opere che comunque sono sempre in cartellone. Se pensiamo che Tosca insieme alla Traviata e Carmen è una delle tre opere più rappresentate al mondo ogni anno, abbiamo l’idea di quanto Puccini sia, inevitabilmente, sempre presente. Quest’anno si sta cercando di riscoprire altre opere pucciniane che sono rappresentate un po’ meno. Ad esempio La Rondine che è in cartellone in diversi teatri, Il Trittico che è con Gianni Schicchi su Archangelica e Tabarro. Tra l’altro Tabarro è una delle mie opere preferite in assoluto. Non spessissimo vengono messe in scena, ma adesso si cerca di favorire molto un programma pucciniano per omaggiare il genio lucchese. Anche la stagione al Bellini di Catania sta per debuttare con la Turandot, quindi un inizio pucciniano. Io stesso ho in programma molte opere di Puccini essendo uno dei miei compositori d’elezione. Inizierò proprio a metà gennaio con una Tosca. È uno dei modi più belli, a mio parere, per omaggiare un compositore così importante nel centenario della morte.

Quando ci siamo incontrati di persona per la prima volta a Ottaviano, lei era impegnato in un concerto con gli amici Katia Ricciarelli, Aniello Sepe e Vira Cavallino. Sul finire del concerto ha raccontato l’aneddoto che si verificò alle olimpiadi di Anversa del 1920 quando, dopo la vittoria di Ugo Frigerio nella Maratona, la banda musicale eseguì a memoria O Sole Mio ricevendo immediatamente l’approvazione e la partecipazione del pubblico presente. Cosa rappresenta per lei, e per un tenore, questa canzone famosissima? E Per quale motivo secondo lei è divenuta simbolo non solo di Napoli ma anche dell’Italia nel mondo?

O sole mio è quanto di più italiano, secondo me, ci possa essere. Amo moltissimo le romanze classiche napoletane, le canto regolarmente perché a mio parere sono perfette per essere cantate da un tenore, hanno un grandissimo impatto oltre che dei testi che sono dei veri e propri capolavori. La melodia è davvero il patrimonio mondiale dell’umanità perché si tratta di melodie talmente belle, con testi importanti. Se pensiamo a Era de maggio per esempio, incontriamo un testo che è una poesia di una bellezza incredibile. Accanto a queste melodie così travolgenti si creano dei veri e propri capolavori. Quindi, per quanto mi riguarda, spessissimo canto le romanze classiche napoletane. Nei miei concerti le inserisco sempre e lo stesso nei revival, cerco di mettere anche pezzo meno noti, tipo Pecché di Pennino oppure Me so mbriacato e sole, che sono un po’ meno popolari, ma bellissime e davvero di grande impatto ragione per la quale cerco sempre di inserirle nei programmi dei miei concerti. Secondo me, come dicevamo, O sole mio è il simbolo di Napoli, ma anche dell’italianità. È un vero e proprio capolavoro che deve concludere sempre qualsiasi tipo di concerto anche perché è un grande veicolo di gioia.

Come cantante e direttore artistico, pensa che il teatro d’opera abbia buone aspettative di popolarità tra il pubblico oppure ritiene che sia necessario qualche aiuto al settore da parte delle istituzioni?

Il teatro d’opera sicuramente è un settore che va aiutato dalle istituzioni, perché è comunque parte del patrimonio dell’Italia. Si tratta di un prodotto made in Italy per eccellenza perché è stato inventato nel 1599 in Italia a Firenze. Un prodotto inventato da noi che va tutelato e che tutto il mondo ci invidia. Nel mondo si parla italiano proprio grazie all’opera lirica perché è un veicolo molto importante anche per la nostra lingua. Le istituzioni devono tenerne e avere sempre un occhio di riguardo per questo settore, tutelandolo e cercando di promuoverlo il più possibile. Ancora di più adesso che abbiamo ricevuto questo grande riconoscimento dall’Unesco che ha classificato l’opera Lirica come patrimonio immateriale dell’umanità. Inoltre è anche un’industria. Proprio qualche giorno fa sono stati pubblicati i bilanci dello scorso anno secondo i quali l’opera ha incassato più di mezzo miliardo di euro in tutti i teatri d’opera. Questo fa capire che è un settore che muove tantissimo l’economia, sostiene tantissime persone, i reparti tecnici e quindi non solo gli artisti. Pensiamo alle sartorie, alle scenografie, ai tecnici, ai sarti, ai costumisti, agli attrezzisti e alle maschere. C’è davvero un mondo dietro al teatro e ci sono tante famiglie che vivono grazie al teatro, all’opera e alla musica. Per questo va assolutamente tutelato anche da questo punto di vista.

Un’ultima domanda, tra gli autori contemporanei c’è qualcuno che le piace particolarmente oppure avremo più spesso autori vecchi e interpreti nuovi?

Sono molto, molto legato al grande repertorio operistico. Si l’opera viene continuamente scritta, io stesso ho interpretato alcune opere contemporanee, ne ho fatte diverse anche di molto, molto belle però, a mio parere, sono i grandi classici che vanno tutelati anche perché, molto spesso, la scrittura contemporanea è una scrittura poco fruibile, più cervellotica, rispetto alla musica del grande repertorio del 700, 800 e 900. Quella attuale è un’opera un po’ troppo accademica dove si cercano spesso sperimentazioni eccessivamente difficili che mettono anche a dura prova i cantanti. È uno dei motivi per i quali sono assolutamente a favore dei grandissimi autori del passato che possono comunque ancora trasmettere tanto. Poi, certo, è un bene che l’opera venga sempre scritta e che ci siano nuove opere contemporanee, che devono essere promosse e aiutate. Anzi è molto interessante vedere che cosa hanno da dire i nuovi compositori, ma il mio cuore è sempre rivolto, come dicevo, ai grandi autori del passato. Come diceva Verdi “torniamo al passato e sarà un progresso”.

Ringraziamo l’amico tenore Roberto Cresca per la disponibilità e la cortesia dimostrata nel preparare e concedere l’intervista.

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