Skip to content

Intervista a Stefano Andreotti

Giulio Andreotti e il figlio Stefano
Giulio Andreotti e il figlio Stefano - foto in primo piano concessa da Stefano Andreotti

Giulio Andreotti è stato uno degli uomini più influenti della prima repubblica, politico e statista, ha ricoperto numerosi ruoli dall’immediato dopoguerra fino al 1992 anno della fine del settimo incarico a Palazzo Chigi. Negli ultimi anni della sua vita ha continuato a partecipare alla vita politica del Paese occupando, tra le altre cose, il seggio di senatore a vita dal 1991. Giulio Andreotti ha legato in maniera indissolubile il suo nome a quello della Repubblica italiana e, anche i suoi detrattori, non osano negare che, a tutti gli effetti, abbia rappresentato un pezzo della storia d’Italia. Oggi, 14 gennaio 2024, ricorre il centocinquesimo anniversario della nascita del 7 volte Presidente del Consiglio. Noi del radar, per l’occasione, abbiamo avuto la possibilità di intervistare il figlio Stefano che ci ha concesso una lunga e approfondita intervista. Grazie a questa concessione possiamo condividere una descrizione pubblica e, in parte, privata di quello che è probabilmente il politico più famoso del Belpaese.

Per quelli della mia generazione che sono cresciuti a cavallo tra la prima e la seconda Repubblica Giulio Andreotti non è stato un presidente del consiglio, ma il presidente del consiglio perché ci siamo abituati ad ascoltare il suo nome al telegiornale e leggerlo sui quotidiani. Era noto come “il sette volte Presidente del Consiglio” oppure 34 volte ministro. Vorrei che lei ci dicesse, in qualità di figlio, come ha percepito lei stesso questo rapporto di suo padre con il potere e se in famiglia quando era padre, marito, nonno parlava mai del suo rapporto con la politica.

Tenga conto che mio padre ha cominciato a fare politica molto, molto presto, praticamente durante la guerra, quindi quando la Democrazia Cristiana era da poco costituita ed era ancora clandestina. Io sono nato nel 1952, quindi non ho pochi anni, però lui aveva già iniziato a fare politica quando io sono nato. Pensi che il primo incarico ufficiale lo ha avuto nel 1947 come sottosegretario alla presidenza del consiglio con De Gasperi. Io e i miei fratelli siamo cresciuti con un’abitudine a vedere nostro padre come un uomo che faceva parte del governo. A questo proposito le racconto un aneddoto curioso. Mia sorella piccola, che ha due anni meno di me, una volta, mentre era a scuola, le fu chiesto che mestiere fa tuo padre e lei rispose il ministro. Quindi era quasi un’abitudine avere un padre che aveva un ruolo di funzione pubblica. Questo non vuol dire che in famiglia noi abbiamo vissuto questa situazione in un modo eccezionale. Mio padre si è sempre vantato del fatto che la nostra famiglia è stata una famiglia sanamente normale. Noi abbiamo vissuto come tante altre famiglie, io e i miei fratelli abbiamo prima giocato, quando eravamo piccoli, poi studiato, siamo cresciuti e siamo rimasti sempre un nucleo molto robusto con un padre certamente noto, ma questo non ha mai portato a vederlo come un padre potente o chissà che cosa. Era un padre come tanti altri. Certo aveva due grandi differenze: la prima, era molto poco presente, perché la sua attività e il suo modo di intendere l’attività che ha svolto lo portavano fuori casa tantissime ore al giorno. La seconda è che, pur avendo delegato, soprattutto quando eravamo piccoli, l’amministrazione della famiglia a mia mamma, è stato sempre molto, molto presente per quanto riguarda la qualità del rapporto. Siamo stati una famiglia normalissima in cui un padre, in effetti, ha avuto tanti incarichi. Lei poi ha ricordato quelli dell’ultimo periodo, che indubbiamente, nella parte finale della cosiddetta prima repubblica, per tantissimi anni, lui ha avuto: presidente del consiglio, ministro degli esteri, soprattutto negli anni Ottanta. È stato certamente tra le persone più rappresentative, insieme ad altri, perché poi, non c’era solo lui. Indubbiamente come ha detto lei, per questi motivi forse, per le persone della sua generazione rimane un po’ più impresso sotto questo aspetto.

Tenga conto che io ho 40 anni e avevo 9 anni quando il presidente Andreotti ha lasciato Palazzo Chigi. Ero convinto che il Presidente del Consiglio fosse Giulio Andreotti. Non sapevo che ogni tanto fosse necessario l’avvicendamento, perché non ricordavo chi l’avesse preceduto poi, quando seppi che non era più lui, chiesi “ma allora non è più Giulio Andreotti il Presidente del Consiglio”?

Sorride. 

Le chiedo sempre del Giulio Andreotti padre o marito. Una delle differenze, forse, tra i politici della prima e della seconda Repubblica, è stata anche il modo di vivere vite non troppo caotiche mantenendo un profilo più o meno sobrio. Proprio per questo una cosa che vorrei chiederle è se è vero che suo padre chiese a sua madre di sposarlo durante una passeggiata al cimitero del Verano? Poi mi permetta di esprimere la mia ammirazione perché, per quel poco che sono riuscito a saperne, ha avuto un rapporto con sua madre sempre molto affettuoso. Un rapporto che sembra di un amore vero e vivo, una cosa non sempre scontata nei politici.

Ai tempi d’oggi è senza dubbio così. Lui aveva conosciuto mamma ancora negli anni della guerra, tramite un cugino di mamma che era all’università insieme a mio padre. Si erano conosciuti e in effetti, erano anni terribili perché era il 1944 ancora con tutti i problemi della guerra. Mia mamma chiese a mio padre di accompagnarla al Verano a verificare se ci fossero stati danni. Lei ricorderà, o avrà sentito parlare, del grande bombardamento al quartiere San Lorenzo con la famosa immagine di Pio XII che andava a pregare lì. Nei giorni successivi mia mamma chiese a mio padre di accompagnarla per constatare se una tomba con dei familiari avesse subito danni. Tornando dalla passeggiata al cimitero, allora si andava molto a piedi perché non c’erano automobili, mio padre chiese a mia madre di sposarlo. La cosa che lei mi ha raccontato è vera, anche se, in un contesto un po’ particolare perché loro si sono sposati l’anno successivo, il 16 aprile 1945 quando mancava ancora qualche giorno alla fine della guerra. È stata un’unione straordinaria, sono stati sposati per 69 anni fino a quando mio padre è morto nel 2013. Un’unione incredibile, mamma ha rappresentato per mio padre, al di là di quello che le ho detto della funzione nella famiglia con l’educazione dei figli, per la quale mamma ha avuto sicuramente il ruolo principale, un’unione bellissima. Mia mamma è stata l’ancora di salvezza a cui mio padre si è sempre appoggiato in tutti i momenti, nelle cose belle e nelle cose brutte della sua vita. È stata sempre un’unione veramente straordinaria. Noi, con mia sorella, stiamo un po’ curando la memoria di mio padre pubblicando, per quello che riusciamo a fare, una piccolissima parte della montagna di documenti che ci ha lasciato. Lo scorso anno abbiamo pubblicato un libro che si chiama Cara Liviuccia lettere alla moglie. Si tratta di 400 lettere scritte da mio padre a mamma. Credo che se qualcuno volesse leggerle, davvero si renderebbe conto dell’unione forte e dell’amore enorme che c’era, e che c’è stato, tra mio padre e mia mamma. 

Sarebbe bello leggerlo, se fosse reperibile lo acquisterò. 

Certamente è edito da Solferino ed è ancora reperibile in libreria, ma sicuramente è reperibile in rete.

Una domanda un po’ più politica e meno personale. Come lei ha detto, suo padre ha avuto il compito, difficile, di iniziare la sua carriera politica nel dopoguerra. Lui stesso ha raccontato che anche in gioventù aveva avuto dei problemi dovuti anche alla morte del padre, cioè di suo nonno, che morì a 33 anni. Questo il presidente lo raccontava in una intervista ad Oriana Fallaci e qualche volta ne ha parlato anche a Porta a Porta.

Sì è morto a 33 anni, ma anche suo nonno era morto a 33 anni, quindi quando mio padre superò i 33 anni era felice perché aveva avuto questa esperienza di due generazioni. È anche vero che in altri tempi si moriva per delle malattie. Ad esempio mio nonno morì quando mio padre aveva 2 anni, nel 1921 e lui era nato nel 1919. La morte di mio nonno fu causata da una malattia che aveva contratto durante la prima guerra mondiale. Mio padre aveva un fratello e una sorella e li ha tirati su mia nonna con una pensione di guerra perché non lavorava. Però è riuscita a tirarli su e a farli studiare. Per questo mio padre aveva una riconoscenza straordinaria verso mia nonna, uno straordinario senso di famiglia che, forse, un pochino si è andato a perdere negli anni. Anche nei rapporti con la mamma, con noi, con i nostri figli, con i nipoti, siamo stati davvero una famiglia di grandissimi rapporti tradizionali.

Infatti il presidente raccontava che proprio per poter lavorare non aveva frequentato la facoltà di medicina. 

Infatti, lui avrebbe voluto iscriversi a medicina però frequentò legge perché questo gli permetteva di avere un piccolo lavoro, presso l’intendenza di finanza, e contemporaneamente studiare legge all’università.

Il presidente Andreotti aveva un senso dell’umorismo molto marcato, vivo e mai banale. Talvolta le sue interviste mi mettono il buon umore perché mostrano anche quella dose di ironia che nella vita serve per poter prendere le cose in una maniera un po’ più leggera. Durante tutta la sua carriera politica è stato sempre contraddistinto da questa sua capacità di non essere mai aggressivo, non perdere mai la pazienza con i giornalisti e con i suoi detrattori. Ha conosciuto 8 papi e, almeno per quelli che ho contato io, 9 presidenti degli Stati Uniti, fermandomi a quelli contemporanei ai suoi incarichi. Mi piacerebbe sapere, se lei ne è al corrente, di come viveva il suo umorismo e il suo rapporto in particolare con Giovanni Paolo II e Henry Kissinger, morto da poco. 

Guardi l’ironia, c’è questo senso di mettere spesso le cose su battuta. Si ricordano, ancora oggi, tante frasi pronunciate da mio padre che vengono ripetute, tanti aforismi. Aveva questo modo di affrontare la vita con tranquillità e ironia e non lo faceva solo in pubblico, ma anche a casa. Era un suo modo di essere. Forse derivava da una natura di vero romano. Di veri romani non ne esistono più tanti, però i veri romani avevano questo modo di affrontare la vita con un po’ di bonomia senza prendersela mai troppo. Lui ha continuato tutta la vita a farlo e, la ripeto, lo faceva anche con noi in famiglia. Prendeva in giro mamma bonariamente chiamandola magari colonnella o marescialla o prendendola un po’ in giro con noi figli.
Per quanto riguarda i rapporti con i papi certamente lui ne ha avuti tantissimi a cominciare da Pio XII che era il papa quando mio padre era all’università. Entrò a far parte della Fuci, la Federazione Universitaria dei Cattolici Italiani, diventandone presidente succedendo ad Aldo Moro, che era stato richiamato al servizio militare al sud. In quella funzione ebbe modo di incontrare il segretario e l’assistente spirituale della Fuci, un certo Giovanni Battista Montini che poi sarebbe divenuto Paolo VI. Ebbe quindi un grande rapporto anche con Paolo VI. Inoltre aveva avuto modo di accedere a frequentissimi incontri con Pio XII. Poi li ha conosciuti tutti i papi, ma certamente, quello con cui ha avuto un rapporto lunghissimo, anche per la durata del papato, è stato quello di cui lei mi ha domandato cioè Giovanni Paolo II. Con Giovanni Paolo II, tenga conto che hanno avuto all’inizio una cosa un po’ curiosa. Il papa fu eletto al soglio pontificio nel 1978, mio padre in quegli anni era presidente del consiglio, prima della cosiddetta “non sfiducia” del Partito Comunista e del compromesso storico. Era la prima volta in cui il Partito Comunista, anche se non entrava a far parte del governo, dapprima non votò contro e poi votava a favore. Nei primi tempi Giovanni Paolo II, venendo dalla Polonia, non vedeva il comunismo così bene e non vedeva molto bene neanche mio padre. Appena ebbe modo di conoscerlo, però, si è creato un rapporto straordinario e intensissimo, di grandissima collaborazione, per tutte le aperture che furono fatte all’est Europa. La politica che poi ha portato, con la fine della guerra fredda, anche alla fine dell’Unione Sovietica. Giovanni Paolo II è stato uno delle figure di riferimento per mio padre. Ha avuto, con lui, rapporti frequentissimi. Spessissimo lo andava a trovare, veniva invitato a pranzo o a cena da Giovanni Paolo II e mille sono state le occasioni, anche di interventi in pubblico.
Con Kissinger ha avuto un rapporto, altrettanto lungo, durato anni e anni. Tenga conto che mettendo a posto le carte, abbiamo trovato, ad esempio, tante volte in cui Kissinger venendo in Italia andava a trovare mio padre nel suo studio privato. Il più delle volte con Gianni Agnelli con il quale aveva grandi rapporti. Abbiamo delle fotografie di una presentazione di uno dei libri di mio padre. Mio padre scrisse una lunga serie di libri, visti da vicino e ne dedicò uno agli Stati Uniti. Questo fu tradotto in inglese. Abbiamo belle fotografie della presentazione che si tenne alla libreria Rizzoli di New York con Kissinger che presentava appunto il libro di mio padre. Questo per dirle come abbiano avuto un rapporto che è durato tantissimi anni con uno scambio frequentissimo di contatti e di corrispondenza.

Vorrei cercare di non abusare troppo del suo tempo. Avrei centinaia di cose da chiederle ma cerco di limitarmi.

Lei non si preoccupi, non si faccia scrupoli.

In questo caso approfitto della sua disponibilità. C’è una battuta di Massimo Troisi che con il suo talento comico accelerato, parla del figlio di Andreotti non so se lei ha mai avuto modo di ascoltarlo.

Come no, ero felice perché mio padre non si accorgeva di nulla.
Pensandoci mi viene da sorridere. 
Poi Troisi è stato una persona così simpatica che non gli si può voler male. 

Mi viene in mente se lei o gli altri fratelli o sorelle, o anche i suoi figli, abbiano mai avuto problemi nell’accusare un peso eccessivo del cognome che portate.

È certo che Andreotti era un cognome importante soprattutto in alcuni anni, fin da bambini. Poi anche negli anni successivi, gli anni in cui ha ricoperto la carica di presidente del consiglio o è stato titolare di dicasteri importanti. Però noi abbiamo vissuto una vita normale. Siamo in quattro e tutti abbiamo fatto la nostra vita il più simile a quella di tantissimi altri amici, compagni di scuola, di università o di lavoro. Abbiamo fatto tutti un nostro cammino professionale lontanissimo dalla politica. Nessuno se ne è mai occupato, per nostra scelta e per scelta di nostro padre, che sicuramente non sarebbe stato contento. Per quanto riguarda me, sicuramente non sarei contento di aver preso una strada dove trovavo un portone aperto. Forse se avessi voluto essere eletto, in alcuni momenti non sarebbe stato difficile, ma non sarebbe stato giusto perché uno deve avere una professione nella vita ed essere in grado di andare avanti per le sue forze e per le sue qualità, non per quelle di un cognome. Certamente questo non vuol dire che io nella vita di tutti i giorni, soprattutto quando ho cominciato a lavorare, ho lavorato per più di 40 anni in azienda, non abbia notato che quando ti presentavi fuori dall’azienda con il mio cognome, se ad esempio chiedevo un appuntamento a qualcuno era più facile farsi ricevere. D’altro canto c’era il contro-bilanciamento. Nell’Italia delle raccomandazioni, lei può immaginare, quante raccomandazioni mi siano state chieste. Tuttavia oggi sono uscito, ormai, dal mondo del lavoro da tanti anni e mio padre è una vita che non c’è più. Però la gente ogni tanto mi chiedeva, mi dà una mano a fare questo o quest’altro, ecco guardi, abbiamo fatto una vita del tutto normale. Io ho avuto amici di tutti i tipi, gente che stava benissimo, gente che stava molto meno bene, gente che aveva idea di destra, di sinistra o di centro. Un po’ la vita che hanno fatto tutti.

Ci sarebbe un’altra cosa che volevo chiederle una affermazione del presidente Andreotti in una intervista, credo concessa a Massimo Franco che ha scritto anche una sua biografia. 

Si l’ha scritta 3 o 4 volte perché ogni tanto l’ha aggiornata. La prima è del 1989, poi l’ha rifatta nel 2009, poi nel 2019. Alle ultime 2 ho anche, in qualche modo, contribuito io a dargli un po’ di notizie delle quali non sarebbe potuto venire a conoscenza, quindi lo conosco bene.

C’è una frase che mi ha colpito, Massimo Franco chiede “Che cosa farebbe se avesse un potere assoluto” e lui risponde “Sicuramente commetterei qualche sciocchezza”. Secondo lei, nel mondo attuale dove ci sono guerre anche in Europa e ai bordi dell’Europa, quanto abbiamo bisogno di questa saggezza da parte di chi ha responsabilità?

Questa è una frase, quindi non è che per forza di cose sia al 100% valida. Però è anche una fotografia di quello che era il potere per mio padre. Mai un qualcosa di assoluto, ma qualcosa che doveva essere condiviso con tante altre persone. Per quanto riguarda il mondo di oggi, penso che mio padre sarebbe disperato per quello che sta accadendo. Ormai di guerre ce ne sono sempre tante nel mondo. Mio padre ha avuto il suo grande amore nella politica estera. La sua grande attività è stata sempre, anche se questo gli è meno riconosciuto, quella di cercare di mettere pace dovunque ci fosse una guerra nel mondo. Lui si è davvero occupato di tutti i focolai di guerra che ci sono stati nei periodi nei quali ha avuto un ruolo come ministro degli esteri o presidente del consiglio.
Quello che è accaduto in Ucraina, e che sta accadendo adesso in Medio Oriente, per lui sarebbe un dolore colossale.  Credo che lui, non solo lui, ma anche gli altri politici europei e italiani del periodo in cui ha avuto dei ruoli importanti, avrebbero certamente fatto qualcosa, per cui non dico che la guerra in Ucraina non sarebbe scoppiata, ma sicuramente non sarebbe ancora durata così a lungo. Ormai siamo vicini ai due anni.
Lo stesso discorso per il Medio Oriente. Mio padre ha fatto moltissimi tentativi di mediazione con una visuale diversa, cioè non “tu hai ragione”, “tu hai torto”. D’accordo, le ragioni ci sono, purtroppo, messe in alcuni momenti con episodi terribili come quello che ha scatenato la guerra nell’ultimo periodo. Però tutto questo doveva servire, per mio padre, sempre a un tentativo di mediazione. Cercare comunque una soluzione. Davvero, mi pare, che il mondo di oggi invece sia troppo diviso sul “tu fai bene, tu fai male, chi se ne importa di trovare una soluzione”. Si, d’accordo, c’è chi può avere più torto o più ragione, ma la mediazione deve servire comunque a cercare la pace. A dispetto di tutto, mio padre si sarebbe sicuramente battuto, insieme magari ad altri, per cercare una soluzione come ha fatto in tanti anni, negli anni in cui ha avuto un ruolo che gli permetteva di dire la sua e in cui l’Italia, soprattutto, ha detto la sua nel Medio Oriente e nel Mediterraneo.

Proprio come politica estera mi vengono in mente due scene. Una è quella famosa, durante la crisi di Sigonella, quando versa l’acqua a Bettino Craxi, con il quale, anche se erano al governo insieme, c’era stata una rivalità politica in alcuni momenti.

Sì c’era stata rivalità politica, però tenga conto che nel momento in cui mio padre è stato ministro degli esteri con i governi di Craxi, dal 1983 in poi, in politica estera avevano un’assoluta identità di vedute. La politica estera di mio padre e di Craxi in quel periodo è stata completamente condivisa da entrambi. 

Un’altra scena che mi viene in mente è quando, questa però me l’hanno raccontata, afferma di aver amato così tanto la Germania al punto di preferirne 2, con Helmut Kohl che dice “Giulio”.

Questo diciamo creò qualche problema, perché chiaramente, non fece contentissimi i tedeschi. Però bisogna anche contestualizzare al momento nel quale fu pronunciata questa frase. Mio padre la pronunciò quando era ospite alla festa dell’Unità. Mi pare che fosse il 1984, quindi quando ancora l’Unione Sovietica era l’Unione Sovietica ed il muro di Berlino era ben lungi dal pensare di poter essere abbattuto. Quando poi, nel 1989, il muro di Berlino è andato giù e c’era una grandissima preoccupazione da parte di tutti, di una accelerazione così veloce del fenomeno dell’emigrazione dalla Germania, nello stato la persona che più ha aiutato Kohl è stato proprio mio padre. Lo ha aiutato nella prosecuzione di questo cammino verso la riunificazione delle Germanie. Tenga conto che c’era anche la paura che poi la Germania divenisse, una volta unita, ancora di più il padrone dell’Europa. Le preoccupazioni erano tante, ma si arrivò all’unificazione della Germania anche costringendola, tutto sommato, a entrare nella moneta unica, a non avere più un marco iperdominante. La frase, ripeto, è giusta, è davvero stata pronunciata da mio padre e ripetuta anche da qualcuno, però risale a 5 anni prima quando ancora la Germania Est, la Polonia e tutto l’Est europeo, erano sotto l’egida del Partito Comunista e Gorbaciov era ai primi passi. 

Su suo padre sono state scritte canzoni e realizzati film. Probabilmente anche più di uno. Posso chiederle lui come percepiva questa cosa? Anche perché, spesso, i suoi detrattori cercavano di strumentalizzare queste cose, ma lui ovviamente con il suo grande senso dell’umorismo era sempre capace di non perdere la pazienza. 

Guardi, lui ha sempre riso molto di tutto quello che avevano fatto. A parte le canzoni e le vignette, delle quali ne sono state fatte moltissime. Pensi che la prima vignetta che ho visto era del 1947. Parliamo davvero dell’alba, nella quale mio padre era raffigurato come un neonato in braccio a De Gasperi. Lui vedeva la satira politica così bene, che nel suo archivio ha conservato più di 4000 vignette che lo riguardavano. Alcune sono terribilmente cattive, ma lui ci ha sempre riso su. Tra l’altro abbiamo organizzato una bella mostra delle vignette allestita all’istituto Luigi Sturzo dove è conservato il suo archivio. Molte sono dei Forattini Giannelli, ma ce ne sono moltissime altre.
Solo una cosa lo fece un po’ arrabbiare e non lo fece contento. Lo vidi un po’ alterato, cosa che normalmente non avveniva, perché era una persona, come ha detto lei, tranquilla ed equilibrata. Fu Il Divo di Sorrentino. Tenga conto che lui andò a vederlo in una saletta privata con una visione organizzata da Rondi che era un grande critico. C’era anche il regista. Dopo la proiezione gli chiesero che cosa ne pensasse. Mio padre rispose “è una vera mascalzonata”. Per mio padre dire una cosa del genere, penso che fosse la cosa più terribile che potesse dire di qualcuno. Poi dopo anche lì ha lasciato perdere ed è finita così. In genere lui ha sempre visto tutti quelli che lo additavano e lo prendevano in giro con divertimento e si è sempre divertito. Non so se lei, data la sua giovane età, conosce Alighiero Noschese, il primo grande imitatore di mio padre che lo prendeva in giro. Poi in tanti lo hanno preso in giro al Bagaglino, che era questo teatro dove andavano in scena queste imitazioni. Noschese iniziò a imitare mio padre e mio padre lo andò a vedere più di una volta. Una volta salì sul palco insieme a Oreste Lionello che era vestito da mio padre e Lionello andò a trovarlo, una volta a studio, vestito come lui. Mio padre si divertiva di questo e ha sempre preso la satira con una grande autoironia e non si è mai offeso con nessuno.

C’è anche una scena in un taxi con Alberto Sordi in una ritmo. 

Sì, con Alberto Sordi aveva un rapporto decennale. Mio padre si è occupato tantissimo di cinema soprattutto nei primi anni quando era sottosegretario di De Gasperi. Fece approvare 2 leggi. Il cinema era praticamente solo americano e Cinecittà, questo grande studio che c’è a Roma, era abitato da profughi di guerra. Mio padre fece trovare delle abitazioni ai profughi e fece approvare una legge, che costringeva tutti i produttori dei film che venivano girati e proiettati nelle sale italiane a riversare una quota dei profitti a produzioni da girare in Italia.
Poi un’altra legge che obbligava i gestori delle sale cinematografiche a riservare un certo numero di giornate all’anno ai film italiani. In quegli anni conobbe tantissimi del mondo del cinema, tra i quali Alberto Sordi con il quale ha mantenuto rapporti. Ricordo, ad esempio, quando Sordi era registra e attore del tassinaro. Ci invitarono in una saletta dove c’era anche lui, persona simpaticissima, nella vita come nei film. Sordi convinse mio padre a fare questa piccolissima parte, facendo un po’ arrabbiare mamma che era meno contenta di vedere mio padre nelle vesti di attore. Però c’è questa piccola parte che passa nel taxi di Sordi. Ogni tanto ho visto che viene ripetuta anche nella programmazione delle televisioni.

Le chiedo un’ultima cosa vorrei sapere, è più una curiosità che una domanda giornalistica, suo padre era romano doc cioè era proprio nativo di Roma da genitori romani?

Sì era nato proprio a Roma centro.

Bene volevo sapere quale era il suo quartiere preferito e se aveva un piatto preferito. Infine, se lei oggi vede qualcuno, qualche suo erede politico oppure pensa che sia come quando Maradona andò da Fazio con la mano sulla fronte per dire che non vedeva nessuno? 

Sorride 

Per quanto riguarda i quartieri, lui era nato in via dei Prefetti, che è una strada, ironia del destino, a 100 metri da Montecitorio. Abbiamo quasi sempre abitato in centro, dove poi lui ha vissuto fino a quando è morto, nel centro di Roma a corso Vittorio. Quindi tutti i quartieri centrali.
Per quanto riguarda il cibo, non è mai stato un grande mangiatore, aveva una preferenza per la pasta pomodoro e basilico e per la carne. Quello per cui andava davvero matto erano il gelato e i dolci. Era molto goloso di dolci anche se stava molto attento un po’ perché mamma lo riprendeva e un altro po’ perché, per non avere poi mal di testa, dei quali lui soffriva molto, cercava di non affaticare la digestione altrimenti aumentava il dolore. Amava i cannoli siciliani e il gelato.
Per quanto riguarda la risposta sui politici è vero che nel panorama attuale grandi Maradona non ne vedo. Forse però è anche vero che sono cambiati un po’ i tempi. Lui ha smesso di fare politica alla fine della prima Repubblica. È vero che è stato in Senato fino a dieci anni fa, però tutti gli esponenti di allora, paragonati a quelli di oggi, sono persone che vivono una realtà molto diversa.

Ringraziamo Stefano Andreotti per la squisita disponibilità e la grande cortesia dimostrataci nella concessione dell’intervista.

Leggi anche È morto a 100 anni Henry Kissinger, il grande diplomatico americano aveva 100 anni.

Articoli correlati

Seguici sui social

ADVERTISMENT

Recent Posts

ADVERTISMENT