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Il ruolo della donna lavoratrice nella società post-capitalistica

donna lavoratrice
lo stressa della donna lavoratrice

Quante volte parlando con qualcuno oppure ascoltando altri che conversano mentre prendiamo un caffè al bar sentiamo dire “non c’è più la volontà di fare sacrifici”, oppure “le donne di una volta sapevano fare di più” e ancora “le donne di una volta sapevano conciliare casa e lavoro”. Spesso, soprattutto chi ha qualche anno di più, e quindi ha vissuto gli anni del miracolo economico, tende a paragonare quello che accade oggi a quanto accadeva tra 5 e 7 decenni fa.

il ruolo della donna lavoratrice tra critiche e pregiudizi

Sotto “accusa”, nemmeno a dirlo, ancora la condizione della donna. Si, la donna per quello che era negli anni Cinquanta e per quello che è oggi. Circa 70 anni fa, ma anche prima, la donna aveva l’unica funzione familiare di essere mamma e moglie. Negli anni Ottanta, quando io ho iniziato ad andare a scuola, vedevo qualche maestra e qualche mamma che lavoravano oltre a fare le mamme e le mogli. Sentivo spesso che gli adulti parlavano di quanto fosse difficile conciliare le due cose. Poi negli anni Novanta inoltrati, questa condizione iniziò a interessare parti più ampie della popolazione. Anche alcune parenti iniziarono a lavorare e a conciliare casa e lavoro. Ovviamente, come tutte le trasformazioni sociali, anche quella fu ed è accompagnata da critiche soprattutto dalle fasce anagraficamente più attempate della popolazione. Le critiche principali erano per le donne che non si prendevano più cura della casa o per gli uomini che erano “costretti” ad accompagnare i bambini a scuola al posto delle loro mogli. Questo avveniva probabilmente perché avevano turni di lavoro più concilianti delle mamme e non perché erano stati “abbandonati” dalle mogli al loro destino. Insomma, la trasformazione destava stupore tra la popolazione.

il ruolo della donna prima della crisi dell’industria

Il motivo per il quale la donna lavoratrice destava stupore è da ricercarsi nell’ambiente sociale e lavorativo nel quale quelle fasce della popolazione si erano affermate ed evolute. Una persona che aveva 30 – 40 anni all’epoca del miracolo economico avrebbe visto le fabbriche e gli uffici pieni esclusivamente di uomini, le case e le scuole piene di donne. Era un modello di organizzazione sociale, il male breadwinner.Tale modello consisteva nella prestazione lavorativa da parte degli uomini, al fine di garantire il sostentamento economico della famiglia, e lo svolgimento delle faccende domestiche da parte delle donne. Queste ultime si occupavano non solo della casa, ma dell’assistenza alle fasce deboli della popolazione, bambini e anziani in primis.

dal male breadwinner al dual adult worker

Quando la società industriale è entrata in crisi, dopo la guerra del Kippur del 1973, con la fine del trentennio glorioso, l’organizzazione sociale del lavoro e della famiglia è cambiata. Il settore terziario ha preso il sopravvento e il lavoro, basato in massima parte sul secondario, non è stato più in grado di fungere da riparo incrollabile dalla povertà. In molti casi entrambi i coniugi sono stati costretti a lavorare per avere di che vivere, si è passati ad un altro modello di organizzazione sociale, il dual adult worker nel quale gli unici a non lavorare sono i bambini che frequentano la scuola e gli anziani. Inoltre, dal 1975, anche in Italia si è affermata la legge sul divorzio. Questo ha creato nuclei familiari con un solo soggetto o famiglie composte da mamme e bambini o mamme, bambini e nonni materni. Si è trasformato tutto ed è stato necessario modificare la composizione effettiva della forza lavoro. Effettiva, perché quella potenziale era già composta anche dalle donne.

il ruolo della donna e gli sconvolgimenti politici fi fine XX secolo

Il differente approccio al lavoro, la modifica dei flussi economici e migratori, lo spostamento del baricentro politico del panorama globale e i nuovi rapporti sociali hanno fatto sì che emergessero nuovi lavori, talvolta sottopagati. Se la donna per una qualche ragione lavora, ha meno tempo di occuparsi di quella parte della popolazione che accudiva nel modello male breadwinner ed è per questo che in casa, spesso, si fa aiutare da persone che si occupano di faccende domestiche. Non era insolito, negli anni successivi alla caduta del muro di Berlino, sentire donne che parlando di altre donne dicessero “ha la donna delle pulizie, perché lei che ha da fare?”. Si andava anche oltre mettendo in discussione la buona fede familiare della malcapitata “non c’è mai a casa chissà perché, chissà con chi sta”. Discorsi saturi di luoghi comuni, che venivano presi per buoni da persone con quella cultura e con quella istruzione. Fatto sta che nelle case degli italiani i lavori di ragazza alla pari o di caregiver spesso erano – e sono tuttora – affidati a immigrati provenienti da paesi dell’Europa dell’est o del nord Africa. Questo è dovuto, in parte, anche al fallimento della teoria capitalistica del trickle-down, il cosiddetto gocciolamento. Purtroppo senza queste lavoratrici non sarebbe possibile sostenere i tempi e i ritmi di questa organizzazione sociale.

donna lavoratrice e lavori domestici, immaginiamo una giornata tipo

Proviamo a pensare a una famiglia di 2 persone, quindi nella quale ancora non ci sono bambini da accudire e anziani da assistere. La mattina ci si sveglia alle 6:30, un’ora per prepararsi e fare colazione e si esce di casa alle 7:30. Mezz’ora per raggiungere un posto di lavoro, sono quindi le 8. Da qui si lavora 8 ore, mettiamo che il capo sia clemente e nelle 8 ore includa giornata lavorativa e una breve pausa pranzo. Si esce dal lavoro alle 16 e si va al supermercato. Alle 17 si rincasa e si inizia a preparare la cena per le 18. Si finisce di cenare e si sparecchia alle 19. Adesso occorre fare qualche pulizia in casa, programmare la lavatrice, stendere il bucato che è appena stato lavato oppure toglierlo dall’asciugatrice, stirarlo e riporlo nei cassetti. Passano da 90 a 120 minuti. Nel migliore dei casi saranno le 20:30. Bisogna tenere conto che al massimo alle 22:30 bisogna andare a letto perché la scienza ci raccomanda almeno 8 ore di sonno per notte. Ogni tanto occorre passare l’aspirapolvere, lavare i pavimenti e fare manutenzione alla casa. Tutto questo ipotizzando un solo pasto a casa al giorno, l’assenza di bambini e anziani e, cosa più importante, che tutto vada liscio come l’olio. Quindi niente capo che vuole 8 ore di lavoro filate, niente traffico, niente problemi di parcheggio ne code al supermercato.

la donna lavoratrice, fare la casalinga era ed è un lavoro a tempo pieno

Il tempo libero sarebbe poco o nulla se si vuole riposare il giusto. Immaginiamo quanto sarebbe più complesso conciliare tutto questo con la presenza dei bambini e anziani. È per questo che è necessaria l’assistenza di qualcuno che, come lavoro, si dedichi esclusivamente a questi compiti. I detrattori della donna lavoratrice potrebbero dire “e allora? Perché una donna deve lavorare?” e noi potremmo rispondere, innanzitutto se è una sua scelta deve farlo, secondo niente lo vieta, terzo con gli stipendi attuali chi riuscirebbe a mandare avanti una famiglia con un solo introito che non raggiunga almeno i 2000 euro mensili?

le trasformazioni dei modelli sociali post-capitalistici

Nel passaggio dalla società industriale a quella dei servizi e dal male breadwinner al dual adult worker, la società ha perso i ritmi pre-capitalistici, anzi, ‘pre-capitalfinanziari’, ai quali si era abituata e sui quali aveva avuto modo e tempo per adagiarsi. Non necessariamente l’assenza dell’affermazione del capitalismo finanziario doveva coincidere con l’assenza dell’emancipazione femminile nella vita sociale e nel lavoro. Sbrigare le faccende domestiche è qualcosa di molto complesso e bisognerebbe astenersi dal criticare quelle donne, che per lavorare e aiutare la causa economica della famiglia sono costrette a reinvestire, in parte, quello che guadagnano per pagare qualcuno che le aiuti in casa.

Si tratta di critiche che negli anni scorsi venivano principalmente da donne e avevano come destinatarie altre donne. Se da un lato queste affermazioni fanno parte del passato, dall’altro hanno ancora presa sul pensiero comune. È per questo che la rivoluzione culturale non deve essere fatta nei centri della finanza capitalistica o nei palazzi della politica. Certo quest’ultima può aiutare parecchio, può indicare e predisporre, ma compire il cambiamento deve essere una scelta fatta ogni giorno da ognuno, nel proprio modo di pensare e di agire.
Occuparsi della casa è stressante e richiede un impegno a tempo pieno, bisogna fare il possibile per rendere questo dovere, anche verso se stessi, un piacere, magari condividendo gli impegni senza alimentare le critiche.

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