Riforma costituzionale. Il 3 novembre il Governo Meloni ha presentato il DDL costituzionale con il quale si propone di introdurre il premierato. Vediamo cos’è, in cosa consiste e le differenze con l’attuale sistema
Recentemente il dibattito politico si è concentrato sul tema delle riforme. Alla fine di ottobre il Presidente del Consiglio in persona, Giorgia Meloni aveva annunciato l’imminente presentazione di un disegno di legge costituzionale volto a istituire in Italia il premierato. Secondo le intenzioni della maggioranza, e del Presidente del Consiglio, questa riforma dovrebbe consentire agli italiani di poter scegliere il primo ministro al quale saranno conferiti poteri più forti dell’attuale Presidente del Consiglio e garantire una stabilità e una durata al governo in carica consentendo la governabilità attraverso un premio di maggioranza pari al 55% dei seggi parlamentari.
La riforma nei dettagli
Nel dettaglio la riforma prevede di non intaccare i poteri del capo dello Stato in quanto si tratta di uno dei baluardi costituzionali sui quali le forze politiche sono decise a dare battaglia. Quindi, con questa riforma il Presidente della Repubblica conserverebbe i poteri di scioglimento delle camere insieme agli altri poteri previsti. La principale differenza dovrebbe essere quella di non poter nominare il presidente del consiglio che viene eletto direttamente dal popolo e non poter nominare i senatori a vita, carica che potrà essere rivestita solo dagli ex presidente della repubblica.
La stessa presidente del consiglio ha spiegato
il ruolo del Presidente della Repubblica è di assoluta garanzia e noi abbiamo deciso di non toccarne le competenze, salvo l’incarico al Presidente del Consiglio.
Nella fattispecie il disegno di legge costituzionale prevede appunto l’elezione diretta del presidente del consiglio da parte del Popolo e la possibilità di nomina e revoca dei ministri.
Questi i punti fondamentali
- Il presidente del consiglio è eletto direttamente dai cittadini.
- In caso di sfiducia il Presidente della Repubblica può vagliare soltanto una volta per legislatura l’ipotesi di incaricare un nuovo primo ministro con una nuova maggioranza.
- Se in una legislatura si verificano due crisi di governo la scelta obbligata sarà lo scioglimento delle camere da parte del Presidente della Repubblica.
- Nel caso di una seconda maggioranza nella stessa legislatura il primo ministro non potrà essere un tecnico ma dovrà necessariamente essere un parlamentare.
- Non ci saranno più i senatori a vita titolo che sarà riservato esclusivamente agli ex presidenti della repubblica e non più a coloro che hanno illustrato il paese per particolari meriti.
- La legge elettorale sarà, in parte, direttamente in Costituzione al fine di conferire alla coalizione di maggioranza un premio del 55% dei seggi. Resta ferma la possibilità di affidare alla legge ordinaria il modo con il quale scegliere i rappresentati.
riforma costituzionale, novità, critiche e propositi
La differenza principale con l’attuale sistema riguarda le crisi di governo che, potrebbero ancora verificarsi dato che il potere del premier si baserebbe sulla legittimità popolare attraverso il voto, ma anche sul sostegno della maggioranza parlamentare per l’approvazione delle leggi. Nel momento in cui ciò dovesse accadere il premier eletto dovrebbe dimettersi e il Presidente della Repubblica dovrebbe, nel caso si trovi una nuova maggioranza, affidare l’incarico di formare un nuovo governo a un parlamentare. Se però dovesse entrare in crisi anche questo nuovo governo allora la scelta sarebbe forzata e il Presidente della Repubblica dovrebbe sciogliere le camere per indire nuove elezioni. Stessa sorte se non si trovasse una nuova maggioranza dopo le dimissioni di un premier eletto.
I critici della riforma fanno notare che in questo modo il Presidente del Consiglio eletto diventa ostaggio della propria maggioranza in quanto è costretto a non farsi sfiduciare dai suoi stessi parlamentari che, essendo tra coloro che in caso di crisi potrebbero ricevere l’incarico dal Presidente della Repubblica, avrebbero tutto l’interesse a non sostenere il governo di cui fanno parte nel tentativo di ottenere la poltrona del primo ministro. L’asimmetria sta, anche, nel fatto che la prima maggioranza, quella uscita dalle urne, potrebbe essere messa in crisi nei modi che abbiamo visto, mentre qualora una dinamica simile dovesse verificarsi durante il periodo di governo della seconda maggioranza, la soluzione sarebbe andare a nuove elezioni senza possibilità di formare altri governi sostenuti da altre maggioranze. Secondo i critici della riforma, quindi, il parlamento avrebbe più interesse a conservare il proprio ruolo per evitare di perderlo troppo in fretta.
Secondo quanto invece dichiarato dalla Presidente del Consiglio questa è una soluzione che porterà alla “fine dei governi tecnici”. Durante la conferenza stampa di presentazione il presidente Giorgia Meloni lasciò comunque intendere che qualora durante l’iter parlamentare si volesse optare per uno scioglimento immediato delle camere già alla prima sfiducia il Parlamento “non troverebbe la mia opposizione”.
Infine i detrattori della riforma aggiungono una ulteriore osservazione: a causa del premio di maggioranza, sarebbe possibile, in un sistema pluripartitico come quello italiano, che un partito che ha vinto le elezioni con un quarto dei voti possa ottenere la maggioranza dei seggi.
riforma costituzionale, il sistema attuale
Ma per fare un confronto occorre spiegare ai lettori cosa prevede l’attuale modello costituzionale. Innanzitutto occorre distinguere tra ciò che è una legge costituzionale e una consuetudine costituzionale. Le leggi costituzionali hanno lo stesso iter di approvazione delle modifiche alla Costituzione e, l’iter di approvazione e modifica, conserva la rigidità prevista dall’articolo 138 della Costituzione. A titolo di esempio possiamo pensare alle regioni a statuto speciale, i loro statuti sono leggi costituzionali approvate proprio secondo tale iter. Un altro esempio di legge costituzionale è quella che anziché modificare l’articolo 10 della Costituzione ha specificato che in merito allo stesso articolo non è ammessa l’estradizione degli stranieri per reati politici ad eccezione del reato di genocidio. A prescindere dal contenuto sostanziale si distinguono dalle leggi ordinarie per il meccanismo di approvazione formale che prevede un procedimento rafforzato affinché i disegni di legge diventino leggi a tutti gli effetti.
costituzione e prassi costituzionale
Questa premessa era d’obbligo perché nella storia recente della Repubblica siamo abituati al fatto che, all’indomani delle elezioni, il capo dello Stato convochi i rappresentanti dei partiti e successivamente conferisca l’incarico al segretario o, come si usa da un trentennio a questa parte, al leader del partito di maggioranza relativa. Quella delle consultazioni non è una procedura prevista dalla Costituzione, ma è una prassi, una consuetudine perché il capo dello stato non è obbligato a compiere alcun giro di consultazioni. Non sarebbe nemmeno necessario farle nell’ordine in cui sono organizzate, cioè ascoltando per ultimo il potenziale incaricato Presidente del Consiglio. Il presidente della repubblica potrebbe evitare di farle oppure potrebbe sentire soltanto i presidenti dei due rami del Parlamento e conferire l’incarico, ma è consuetudine fare uno o più giri di consultazioni anche al fine di vagliare le idee di tutti i gruppi parlamentari e avere un consenso parlamentare e, comunque un dialogo, il più ampio possibile.
Il meccanismo delle consultazioni rischiò di andare in corto circuito nel 2018 all’indomani delle elezioni del 4 marzo che videro la vittoria del Movimento 5 Stelle. In quella occasione, infatti, il presidente Mattarella dovette conferire l’incarico di formare il governo al partito che aveva ottenuto la maggioranza dei voti, ma, dato il più o meno recente meccanismo delle coalizioni formate in periodo elettorale, se avesse voluto considerare come vincitore delle elezioni la coalizione avrebbe dovuto incaricare la coalizione di centrodestra formata da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Trattandosi di una consuetudine e non di un meccanismo scritto in Costituzione, non si è sollevato alcun problema in merito ad eventuali conflitti tra diversi poteri dello Stato.
la formazione e l’insediamento del governo
All’indomani del conferimento dell’incarico il Presidente del Consiglio incaricato avvia a sua volta un giro di consultazioni per vagliare la possibilità di formare un governo e tornare dal Presidente della Repubblica con la lista dei ministri. Attualmente infatti è l’inquilino del Colle a incaricare il primo ministro e a nominare su sua proposta i ministri. Successivamente i ministri nominati insieme al Presidente del Consiglio si ritrovano al Quirinale per prestare giuramento e, nei giorni seguenti, si presentano alle camere per ottenerne la fiducia, passaggio costituzionale indispensabile.
riforma costituzionale e assenza di vincolo di mandato
Nel caso italiano ma in generale in tutte le democrazie libere, i parlamentari non hanno vincolo di mandato. Questa semplice idea è plasmata nell’articolo 67 della Costituzione che recita “ogni membro del parlamento rappresenta la Nazione ed è eletto senza vincolo di mandato”. Questo significa che i parlamentari, che all’atto dell’insediamento del governo votano la fiducia all’esecutivo, possono cambiare idea in qualsiasi momento senza dover rispondere agli elettori che li hanno delegati nell’ambito della democrazia rappresentativa. Secondo moltissimi studiosi di diritto e sociologi proprio l’assenza di vincolo di mandato rende possibili i ribaltoni e i “tradimenti” dei rappresentanti ai rappresentanti ovvero degli eletti agli elettori.
Si potrebbe aprire una nutrita discussione sull’assenza di vincolo di mandato e sulla impraticabilità, o meno, di misure alternative che possano limitarla. Tuttavia, all’atto di presentare la riforma, la stessa presidente Meloni ha tenuto a precisare che il premier eletto dal popolo dovrà comunque attenersi al programma di governo. Il proposito c’è senz’altro, occorre valutare se e come “obbligare” il primo ministro e tutto il governo a non cambiare idea.
la costituzione cambia, l’assenza di vincolo resta
Esistono poi delle peculiarità che pur ammettendo la possibilità di limitare o eliminare l’assenza di vincolo di mandato potrebbero mettere in discussione il rapporto eletti-elettori. Proviamo ad immaginare quando nel 2018 l’alleanza giallo verde dette vita al governo Conte I. Il proposito era quello di fare soltanto quello che c’era scritto nel programma di governo per evitare dissensi tra le forze di maggioranza. Un sano principio, ma non teneva conto del fatto che i governi devono risolvere i problemi generali di una comunità e, quindi, dato che si tratta di una comunità viva, alcuni problemi potrebbero non essere noti al momento dell’insediamento del governo e della stesura del programma. Ad esempio al crollo del ponte Morandi non era stato preventivato dalle forze di maggioranza e nemmeno da quelle di opposizione. Si trattò di una necessità emergente che rendeva necessari provvedimenti che per forza di cose, cioè l’assenza della sfera magica, non potevano essere previste a priori nel programma di governo.
Questo esempio, accanto poi a quello che è accaduto al governo Conte due nell’epoca del Covid.19 – ma esistono tantissimi esempi da fare – ci dà l’idea di quanto sia complessa la realtà e di quanto il vincolo di mandato sia stato un problema spinoso per le maggioranze passate, lo sia per quelle presenti e quanto potrebbe esserlo per quelle future. Il problema della libertà è che tortura la democrazia. Si potrebbe dire anche il viceversa. Ma la soluzione migliore potrebbe essere quella di una sfiducia costruttiva oppure una limitazione del vincolo di mandato, ma si aprirebbe così un discorso di tipo filosofico e sociologico ben più ampio e di difficile trattazione in un solo articolo.
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