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Israele e Hamas, tra scambi ostaggi e soluzioni inefficaci

scambio Israele Hamas

Prosegue lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas ma la fine della guerra appare lontana. Ancora più improbabile la soluzione a breve termine dell’atavica contesa sui territori.

Prosegue lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas iniziato venerdì 24 novembre. Sabato sera la tregua aveva rischiato di saltare per le proteste di Hamas secondo le quali Israele non avrebbe rispettato i patti perché i nomi dei prigionieri palestinesi liberati non coincidevano con quelli concordati. Il governo presieduto da Benjamin Netanyahu ha precisato che i prigionieri sono quelli concordati con il gruppo terroristico, ma non nello stesso ordine, esattamente come fa anche Hamas quando libera i prigionieri israeliani.

Il fragile accordo sullo scambio di ostaggi

La tregua, per quanto necessaria a entrambi i contendenti, aveva rischiato di essere messa in discussione, ma grazie all’intervento di mediazione da parte di Egitto, Qatar e del presidente degli Stati Uniti Biden in persona, si è potuto preservare il fragile accordo. È stato così che la piazza di Tel Aviv, già affollata da manifestanti e parenti degli ostaggi, ha potuto tirare un sospiro di sollievo e lasciarsi andare ai festeggiamenti. Solo pochi minuti prima sulla stessa piazza era calato il gelo quando si era diffusa la notizia del probabile slittamento dello scambio di prigionieri. L’esercito aveva avvertito Hamas che se non si fosse giunti ad un accordo entro la mezzanotte non ci sarebbe più stata una tregua e i combattimenti sarebbero ripresi. Il risultato della serata di tensione è stato il rilascio di 13 cittadini israeliani fatti ostaggio il 7 ottobre più altri 4 cittadini con passaporto non israeliano. Dall’altra parte Israele ha rilasciato 39 cittadini palestinesi che hanno immediatamente raggiunto i territori della Cisgiordania dove sono stati accolti da festeggiamenti e insegne di Hamas.

Avigail la bambina orfana creduta morta è stata rilasciata

Tra gli ostaggi rilasciati anche Avigail, bambina israeliana di soli 4 anni, compiuti durante la prigionia. I genitori sono stati uccisi, lei stessa è sopravvissuta perché finita sotto il corpo del padre. Ad attenderla al momento del rilascio il nonno. Anche Emily Hand 9 anni era stata creduta morta dal padre Tom Hand, il quale avendo ricevuto una telefonata della bambina nei minuti dell’attacco credeva che la figlia fosse rimasta uccisa il 7 ottobre scorso. Dall’altra parte Israele ha rilasciato terroristi e prigionieri amministrativi. Lo status di prigioniero amministrativo è quello di un cittadino straniero che non ha compiuto alcun reato ma, appartenendo amministrativamente a una nazione ostile, è stato imprigionato per poter essere utile in caso di uno scambio. A titolo di paragone, in base a quanto stabilito dall’articolo 13 della nostra Costituzione, in Italia questo non sarebbe possibile.

La pausa umanitaria come conseguenza delle pressioni politiche interne ed esterne

La tregua, definita da Netanyahu e dal governo di Israele come “pausa umanitaria”, si era resa indispensabile per entrambi i contendenti. Il governo di Tel Aviv non poteva più ignorare le fortissime pressioni di politica interna dovuti al clamore della risonanza mediatica suscitata dalle proteste dei familiari degli ostaggi che insistevano sempre di più nel chiedere al governo di riportare a casa i loro familiari. D’altra parte, una pressione politica e mediatica di questo tipo rischiava di compromettere la popolarità, per quel che ne resta, del primo ministro. Al di là del consenso personale Netanyahu, si sarebbe rischiato di perdere la coesione che unisce il popolo ebraico nel perseguire l’obiettivo di perseguire Hamas. Dall’altra parte della striscia invece, Hamas aveva bisogno della sospensione delle ostilità per poter riorganizzare gli armamenti e i miliziani, nel tentativo di rendere la permanenza dei militari di Tshal il meno lunga possibile.

probabile prolungamento dell’accordo

Dal punto di vista diplomatico continuano gli sforzi per proseguire la tregua e andare avanti con lo scambio. Secondo l’accordo infatti, il governo israeliano è disponibile a proseguire la tregua di un giorno per ogni 10 ostaggi rilasciati da Hamas che, dal canto suo, accetterebbe di buon grado, secondo i rumors, di avere altri giorni di pausa dai combattimenti per potersi preparare meglio a respingere l’esercito israeliano. Lo scambio è del resto il risultato di un impegno comune, una volontà di dialogo voluta dagli Usa ma anche dagli alleati e simpatizzanti di Hamas. Se da un lato il Qatar è un paese sostenitore, l’Egitto per quanto in pace con Israele è pur sempre un membro della lega araba e certamente non ostile ad Hamas.

influenze internazionali e conseguenze attuali

La pressione diplomatica da entrambi i lati aumenta. Israele non può scontentare troppo il potente alleato americano, per quanto questo abbia perso una buona parte della potente influenza che poteva esercitare nei decenni scorsi. Pensiamo ad esempio a quando all’indomani della guerra del Kippur il segretario di Stato Usa, Henry Kissinger proibì a Golda Meir, Moshe Dayan e Ariel Sharon di distruggere la prima armata egiziana che era rimasta isolata nel deserto. Dall’altra parte Hamas ha bisogno del Qatar che a sua volta tiene ai suoi ottimi rapporti diplomatici e commerciali con l’occidente, Usa e Ue in testa. Anche in questo caso pensiamo ai mondiali di calcio del 2022 e allo scandalo Qatar Gate. L’Egitto ha bisogno di non violare la pace quasi cinquantennale con Israele per motivi economici e politici. Israele stesso ha la doppia necessità di non dare segni di debolezza di fronte al nemico e alle minacce dell’Iran e di non perdere consenso internazionale provocando un elevatissimo numero di vittime con i bombardamenti su Gaza. Ad essere penalizzati sono sempre i civili che spesso sono la parte più debole della popolazione, donne, bambini, anziani e malati. Anche da parte israeliana la guerra o la tregua gravano sulle sorti degli ostaggi e sulle speranze delle loro famiglie, Sarà davvero efficace e realizzabile la tanto invocata soluzione “due popoli, due stati?”

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