Il 15 aprile 1967, esattamente 58 anni fa, l’Italia perdeva un simbolo della comicità nazionale: Antonio De Curtis, universalmente conosciuto come Totò. “Il Principe della Risata” si spegneva a 69 anni a causa di un infarto, lasciando un vuoto incolmabile nella cultura e nello spettacolo italiano. Le sue ultime parole, “Mi sento male, portatemi a Napoli”, testimoniano il profondo legame con la sua città natale che lo aveva visto nascere e crescere artisticamente. Totò ha attraversato tre decenni di cinema italiano interpretando 97 film, visti da circa 270 milioni di persone, con una carriera che lo ha consacrato come uno dei più grandi comici italiani di tutti i tempi.
Totò: le origini e il nome: da Clemente a De Curtis
Antonio Vincenzo Stefano Clemente nacque il 15 febbraio 1898 a Napoli, nel popolare Rione Sanità. Inizialmente prese il cognome della madre, Anna Clemente, poiché il padre Giuseppe De Curtis non lo riconobbe subito, essendo frutto di una relazione segreta. Solo nei primi anni Venti, Giuseppe regolarizzò la situazione familiare riconoscendolo come figlio e sposando la madre. L’incessante ricerca di nobili origini, che lo portò persino a farsi adottare da nobili in decadenza in cambio di un vitalizio, culminò con l’acquisizione di un nome altisonante: Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio. Questa ricerca di nobiltà viene spesso interpretata come un tentativo di riscatto dalle umili origini.
Il naso storto: un “incidente fortunato”
Una delle caratteristiche più distintive di Totò, la sua mimica facciale con naso deviato e mandibola asimmetrica, non fu un tratto congenito ma il risultato di un incidente avvenuto durante la sua prima infanzia. Mentre si trovava al collegio Cimino, durante una ricreazione, stava giocando a boxe con uno dei precettori quando fu colpito in pieno volto. L’impatto causò non solo un’immediata emorragia nasale ma, col tempo, si rivelò aver provocato una deviazione permanente del setto nasale e una mascella più rientrata dell’altra. Ciò che inizialmente poteva sembrare una sfortuna si trasformò nel tratto distintivo della sua “maschera” comica, diventando parte integrante della sua espressività artistica e del suo successo.
Gli esordi: dal varietà al successo cinematografico
Dopo il servizio militare, Totò avrebbe voluto intraprendere la carriera di ufficiale di marina, ma insofferente alla disciplina, preferì seguire la sua vocazione artistica. I suoi primi passi nel mondo dello spettacolo li mosse come macchiettista, ottenendo un primo successo alla Sala Napoli con una parodia della canzone “Vipera” di E. A. Mario, intitolata “Vicolo”, che aveva “preso in prestito” dall’attore Nino Taranto6. Trasferitosi a Roma con la famiglia, fu inizialmente scritturato come “straordinario” (un elemento da utilizzare occasionalmente e senza compenso) nella compagnia dell’impresario Umberto Capece. Nonostante le difficoltà economiche che lo costringevano a lunghi tragitti a piedi attraverso la città, Totò perseverò, trovando nel varietà il genere teatrale più congeniale al suo talento. La carriera cinematografica di Totò iniziò relativamente tardi, a 39 anni, con “Fermo con le mani” (1937) diretto da Gero Zambuto2. Nel trentennio successivo, fino alla sua morte, interpretò ben 97 film, lavorando con 42 registi differenti e mantenendo una media impressionante di oltre quattro pellicole all’anno. I suoi collaboratori più frequenti furono Mario Mattoli (16 film), Steno (14), Camillo Mastrocinque (11), Sergio Corbucci e Mario Monicelli (7 ciascuno). L’ultimo film a cui partecipò fu “Capriccio all’italiana” (1967), uscito postumo nel 1968. Totò recitò quasi sempre come protagonista, ad eccezione di una comparsa ne “Il giorno più corto” e di nove film in cui girò solo un episodio, lasciando un’impronta indelebile nel cinema comico italiano.
Il legame con Napoli e gli ultimi anni
Il rapporto di Totò con Napoli fu viscerale e indissolubile. Nato e cresciuto nel cuore pulsante della città partenopea, portò sempre con sé l’anima e l’essenza napoletana nei suoi personaggi. La sua comicità, che univa l’arguzia popolare alla critica sociale, è profondamente radicata nella tradizione teatrale napoletana. Anche nei suoi ultimi momenti di vita, il suo pensiero andò alla sua città natale, come testimoniano le sue presunte ultime parole: “Mi sento male… portatemi a Napoli”. Il giorno del suo funerale, Napoli si fermò per dare l’ultimo saluto al suo figlio prediletto, con una folla immensa che riempì le strade in segno di affetto e rispetto per l’artista che aveva saputo incarnare lo spirito partenopeo nelle sue molteplici sfaccettature.
L’eredità di un mito senza tempo
A distanza di 58 anni dalla sua scomparsa, Totò rimane uno dei comici più amati e studiati del panorama artistico italiano. La sua capacità di fondere comicità e umanità, di passare dal riso alla commozione con naturalezza disarmante, lo rende un artista senza tempo. I suoi film continuano ad essere trasmessi in televisione, conquistando anche le nuove generazioni che riconoscono nel suo talento qualcosa di universale e senza età. Le sue battute sono entrate nel linguaggio comune, le sue espressioni sono diventate iconiche, e il suo stile inconfondibile continua a influenzare attori e comici contemporanei. Totò non è solo un capitolo fondamentale della storia dello spettacolo italiano, ma un patrimonio culturale collettivo che continua a vivere nel cuore degli italiani.
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