Il 14 gennaio 1968 nasceva Emanuela Orlandi quindi oggi è il suo cinquantasettesimo compleanno. Il suo rapimento in circostanze ancora in fase di chiarimento, avvenne il 22 giugno del 1983 vale a dire 15182 giorni fa. Per intendere la lunghezza di questo percorso, si può ribadire che si sono succeduti 3 papi e 6 presidenti della Repubblica durante questo tempo. Io stesso non c’ero ancora quando avvenne il rapimento e molti di coloro che oggi raccontano l’evento erano giovanissimi, altri che lo raccontavano non ci sono più.
La verità ha però il pregio di essere inossidabile purché persista la volontà da parte degli esseri umani di ricercarla. Anche quest’anno la famiglia di Emanuela e il fratello Pietro in particolare, non permettono che l’attenzione e la volontà di trovare la verità vengano meno. Il 18 gennaio alle 16 ci sarà infatti un sit-in in piazza Cavour a Roma, difronte alla Corte di Cassazione per ribadire, purtroppo ancora una volta, che la verità non è ancora stata svelata e per chiedere con insistenza che chi ne ha potere faccia il necessario perché ciò avvenga.
Emanuela Orlandi, un Paese civile e degno di questo nome non cela la Verità
Come giornalista, ma anche e più semplicemente come cittadino, sarò presente al sit-in per ribadire la necessità di ricercare la verità in questo e in altri casi. Non è un interesse privato della famiglia Orlandi ma della collettività. Può mai definirsi civile un Paese nel quale i cittadini di una enclave straniera sono rapiti senza che si giunga a conoscerne motivi e responsabili del rapimento? È per questo che un Paese, una potenza del G7, della Nato, la culla della civiltà moderna, del diritto e del Rinascimento, non può definirsi civile, ma non dovrebbe nemmeno definirsi Paese, finché non sia fatto tutto il possibile, sia dal punto di vista giudiziario che diplomatico, affinché si faccia piena luce per l’accertamento della verità.
Un’illustre statista, altrettanto compianto in un altro mistero italiano, Aldo Moro, affermava che la verità “È sempre illuminante”. D’altro canto, da giurista, lo stesso Aldo Moro sosteneva la disumanità dell’ergastolo in quanto “la fine della pena è la fine della tua vita”. Ecco prendendo spunto dalla sua figura amata da storici, filosofi e politici di ogni partito e di chiarissima formazione e derivazione Cristiana, si potrebbe dire che è giusto illuminare con la verità la famiglia Orlandi perché questa pena dell’oblio, dell’ombra del depistaggio, dell’insabbiamento, del non sapere non duri, per chi amava Emanuela, tutta la vita.
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