Gli incidenti e gli eventi disastrosi in montagna sono sempre più frequenti sia per la crescente diffusione delle attività sportive e ricreative, sia per il cambiamento climatico che, modificando lo stesso ambiente alpino, determina nuovi rischi ed eventi imprevedibili. Poche ore fa sono stati ritrovati i corpi senza vita dei due alpinisti dispersi da domenica 22 dicembre, nel cuore della Valle dell’Inferno, a quota 2.700 metri circa sul Gran Sasso, in Abruzzo. I due ragazzi provenienti da Rimini, si erano incamminati verso la cima del Gran Sasso, durante una tormenta di neve, sono scivolati in un canalone mentre scendevano dalla Direttissima al Corno Grande.
Lunedì 23 dicembre, la snowboarder svizzera Sophie Hediger è stata travolta da una valanga ad Arosa, comune elvetico del Canton Grigioni, nella regione Plessur, mentre si allenava per la gara ai Campionati del Mondo casalinghi in Engadina il prossimo marzo. Qualche ora fa nel Tirolo, un ragazzo di 29 anni finisce contro un masso, mentre cerca di filmarsi durante delle acrobazie con gli sci. Il 29enne, una volta stabilizzato è stato portato in elicottero all’ospedale di Schwaz in codice rosso.
Accusare o imparare
Fatalità o imprudenza? Un proverbio dice: “Quando accade un incidente puoi scegliere se accusare o imparare, entrambe le cose non sono possibili.” Sicuramente ciò che possiamo fare è comprendere gli errori commessi, senza però cercare qualcuno da colpevolizzare. Dopo la morte di Matilde Lorenzi avvenuta lo scorso ottobre mentre si allenava sulle piste di Bolzano, si è discusso di provvedimenti normativi in grado di arginare l’impennata degli incidenti in montagna. Le molteplici questioni che riguardano l’interazione tra individuo e ambiente, sono state approfondite in un progetto di ricerca nazionale che da un lato si interessa di responsabilità penale in caso di disastri naturali (tra cui frane e valanghe), dall’altro pone l’accento sull’autoresponsabilità dei soggetti che praticano attività sportive o ricreative in montagna. Partendo dal presupposto che ogni individuo è libero di intraprendere un’attività pericolosa per la propria persona e dunque di auto-esporsi a un pericolo, e considerato che il rischio zero non esiste, occorre però stabilire quale rischio i singoli soggetti debbano assumersi e stabilire come controllarlo i e ridurlo entro livelli accettabili.
Incidenti in montagna: servono leggi ma anche prudenza e buon senso
Così come una persona è libera di andare a passeggiare sulla spiaggia durante un temporale, con il rischio di essere colpito da un fulmine, un’altra può passeggiare in un luogo isolato e pericoloso con il rischio di avere un incidente. Il “diritto a rischiare” è legittimo della nostra libertà, ma va bilanciato con altri interessi quando entrano in gioco altri soggetti titolari, a loro volta, di diritti e doveri. I soggetti che hanno meno esperienza, meno preparazione, meno capacità, dovrebbero valutare correttamente il rischio e le conseguenze delle proprie azioni, acquisendo tutte le informazioni necessarie per svolgere l’attività in sicurezza: il meteo, le condizioni dell’ambiente, l’attrezzatura a disposizione, la formazione, il grado di aggiornamento, l’età, le capacità, le abilità personali, l’allenamento fisico, l’esperienza, la conoscenza dei percorsi. Tutti elementi essenziali da considerare. C’è chi propone la modifica del decreto legislativo n. 40 del 28 febbraio 2021 in materia di sicurezza nelle discipline sportive invernali estendendolo anche all’alpinismo, all’escursionismo, allo scialpinismo. Altri vorrebbero far sostenere le spese di soccorso agli stessi cittadini imprudenti che si avventurano in imprese rischiose. Di certo serve buon senso civico attenendosi alle misure di sicurezza ove necessario anche se non imposte dai decreti.
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