Secondo lei il concetto di stile cosa va a indicare e cosa significa?
Significa che uno deve usare le proprietà del linguaggio soprattutto quando ha la responsabilità di scrivere e di rivolgersi agli altri. Lo stile è qualcosa di indispensabile che inizia da Dante, da Marziale, da Cicerone e va avanti fino ai giorni nostri. Se c’è uno stile, quando si legge una frase, si Individua immediatamente l’autore. Pensate a Leopardi, Pascoli a Bauman e tanti altri.
Pensa che sia giusto avere un punto di riferimento nella scrittura?
Si. Deve esserci qualcosa che ci ha colpito e che ci abbia indotti a scrivere, ma ciò non deve ridursi a una banale imitazione dello scrittore.
Bisogna essere come diceva Pirandello anti-retorica e anti-sintesi?
La sintesi è utile in quelle persone che non hanno questo dono e tendono a prolungare i discorsi. Ad esempio io ho dovuto leggere diversi romanzi nel mio lavoro e mi capita spesso di vederne alcuni troppo lunghi. Gli autori si dilungano inutilmente senza considerare che potrebbero esprimere gli stessi concetti con un numero molto inferiore di parole.
Cosa è cambiato secondo lei rispetto a dieci anni fa per uno scrittore che vuole riuscire a distinguersi?
Oggi ci sono più chance per poter pubblicare, ci sono varie editori che esulano dal contesto tradizionale. Ci sono tantissimi piccoli editori che curano tantissimo le loro opere e danno modo, a tante persone, di pubblicare. Si tratta di autori che altrimenti non troverebbero spazio. Senza queste piccole case editrici molte persone di talento non potrebbero realizzare la loro opera. Si possono vendere diverse migliaia di copie anche con questi editori perché la gente legge. A me, ad esempio, piace leggere purché sia io a scegliere cosa.
Secondo lei la narrativa nel panorama letterario italiano è sopravvissuta o sepolta?
Sicuramente è sopravvissuta. La cosa che mi irrita è che molti autori attingono sempre al privato, ma ci sono anche altre opere nelle quali c’è qualcosa che poi ti attira e ti fa leggere il resto.
Si parla tanto di suo padre Salvatore Quasimodo ma poco di sua madre Maria Cumani attrice e poetessa. Cosa deve alla figura del suo papà e a quella della sua mamma?
La figura di mio padre l’ho ben già raccontata. Ho scelto la copertina della sua opera, l’opera omnia che è uscita con Mondadori. In copertina c’è un fico d’India perché lui era un fico d’india. Il rischio era di trovarti spine tra le mani se non riuscivi ad arrivare al dolce, ma una volta che ci arrivavi era sicuramente una figura molto umana. In realtà è stato un padre molto assente. Meno male che ho avuto mamma che è stata una grande artista, una scrittrice, danzatrice e attrice che ha fatto tutto nel modo migliore. È stata una donna di una bellezza e di una sensibilità straordinarie. Tutti i suoi diari sono alla Biblioteca Nazionale di Roma perché desidero che qualcuno se ne possa occupare dato che io non me la sentivo. Leggendoli ero troppo coinvolto. Su Quasimodo si è scritto fin troppo ma adesso si sta lavorando molto sulla figura di mia madre.
L’idea sarebbe quella di fare un libro dai diari sua madre?
Di fare più libri. Uno è già uscito. Si tratta di 28 quaderni e quindi è necessario che qualcuno che non sia emotivamente coinvolto possa valutare cosa pubblicare.
A chi li ha affidati?
Alla Biblioteca Nazionale, invece tutto quello che riguarda mio padre è, in parte alla fondazione Maria Corti di Pavia e in parte alla stessa Biblioteca Nazionale. Le dico che in realtà mi dà fastidio quando si dice “è il figlio di Quasimodo”. Ho lavorato tanto per 60 anni e poi Salvatore Quasimodo era il mio padre anagrafico ma ho anche altri padri come Giovanni Pascoli e Bauman.
In alcune classi delle scuole medie regalano Il piccolo principe, lei ritiene che a 10 anni lo si possa leggere?
Sì va benissimo. Poi lo si può anche rileggere più avanti perché è un libro per qualsiasi età per grandi e piccini. È uno dei libri importanti perché formano il carattere dei ragazzini.
Nella penisola abbiamo avuto una lunga tradizione di autori teatrali: Alfieri, Goldoni, Scarpetta, De Filippo per arrivare fino a Pirandello, premio Nobel per la letteratura. Cosa pensa degli attuali stili teatrali e se pensa che ce ne sia uno dominante?
Ho lavorato anche con degli autori teatrali contemporanei come ad esempio Massimo Binazzi che era un autore estremamente interessante di testi molto belli. In Italia sono stato il primo interprete di Harold Pinter prima ancora che vincesse il Nobel quando qui nessuno lo conosceva. Nelle battute c’è sempre qualcosa di nuovo. A chi mi chiede se mi annoio di recitare sempre gli stessi testi, io rispondo che ogni volta che lo ripeti, ogni volta che fai una replica, ti piace da morire perché ogni volta scopri qualcosa di nuovo.
Attualmente c’è un progetto al quale tiene maggiormente?
No, non direi. Sono stato in giro per il mondo a portare la poesia di Quasimodo, anche a Seoul. Una nota dolente sull’Ungheria pensi che tutti coloro che erano nella giuria del primo Quasimodo adesso non possono più lavorare come artisti e alcuni sono addirittura in stato di detenzione.
A proposito di come il nostro paese è visto in Europa e in generale all’estero, abbiamo avuto Pirandello Nobel nel 1936, suo padre nel 1959, Montale nel 1975. L’ultimo è stato Dario Fò nel 1997. Da 27 anni nessun italiano vince il premio Nobel. Secondo lei questo è dovuto alla reticenza dell’accademia di Svezia oppure al fatto che la nostra produzione letteraria sta calando?
Ci sono letterati che lo meriterebbero ma ci deve essere qualcuno dentro il comitato, che è composto da cinque persone, a scegliere di conferire il premio Nobel a un italiano. Consideri che Mario Luzi ha perso il premio perché dal comitato non deve trasparire nulla invece, un giornale scrisse che Mario Luzi era nella rosa dei finalisti ma il premio Nobel non ha una rosa di finalisti. Nel comitato sono piuttosto intransigenti sul fatto politico. Conosco bene un membro del comitato, una bravissima poetessa. Quando nel 1959 mio padre ha vinto il Nobel si era pensato di dividerlo conferendolo, al contempo, a Giuseppe Ungaretti, ma non gli hanno perdonato il fatto che non si fosse risparmiato in lodi al regime. Non lo ha avuto Borges e nemmeno quello che, a mio parere, è il più grande poeta di lingua inglese del Novecento cioè Ezra Pound. Mio padre stesso si diede da fare per tanti anni per poterlo liberare dal manicomio criminale.
Bauman racconta di come ci sia un passaggio dal cittadino al consumatore e di una forte stratificazione sociale. Gli fa eco un altro grande sociologo Esping-Andersen che parlando dei regimi di welfare definisce una stratificazione e una mercificazione. Secondo lei quanto incide il paradigma neoliberista su quella che è oggi la crisi economica, sociale e delle coscienze?
Moltissimo, ne è la causa, è ciò che ha provocato tutto questo. Ho avuto la fortuna di conoscere Bauman. Sono stato una giornata con lui e mi sono innamorato della sua opera. Ho ascoltato una sua Lectio Magistralis e dovevo chiudere la giornata con una poesia di Quasimodo “Al padre”. Quando hanno spiegato a Bauman quello che stavo dicendo è venuto da me e io gli ho detto che tra i numerosi padri che mi sono scelto preferivo dedicare a lui questa poesia perché lo consideravo tra i miei padri. Lui si è commosso e mi ha abbracciato e mi ha detto “questo è il più bel regalo che abbia mai ricevuto”. Per me fu una giornata indimenticabile.
Ringraziamo Alessandro Quasimodo.
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