Che idea ha lei della giustizia e che idea invece ha il personaggio del suo libro l’avvocato Guerrieri?
Premesso che Guerrieri non è un personaggio autobiografico, anche se in molti lo pensano, certamente condividiamo l’idea di giustizia che è piuttosto semplice, non esiste giustizia al di fuori delle regole, il sistema dei processi e dei tribunali è un sistema molto imperfetto, ma fuori da quel sistema, fuori dal meccanismo delle regole uguali per tutti, non c’è giustizia, ma solo vendetta.
Lei dice una cosa molto bella sulla ricerca della felicità “La felicità implica di attraversare le tenebre, negoziare con le ombre ma implica un diritto che è anche un dovere”. Nel romanzo lo psicanalista di Guerrieri gli dice che per noi è importante tenerci vivi e in buona salute e far sì che la vita sia degna di essere vissuta, ma non è un po’ un miraggio tracciare il concetto di felicità?
Non credo che tracciare un’idea di felicità possibile e umana sia inseguire un miraggio. Non credo che sia una cosa ingenua, credo che sia una cosa nobile e importante. L’idea di felicità umana, di cui si parla nel libro e nella quale io credo, è un’idea che si lega al coraggio, al riconoscere le difficoltà, il dolore, la complessità dell’esistenza e andarle incontro, cogliendo la bellezza di questa complessità, complessità esteriore e complessità interiore. Credo che non ci sia felicità senza il riconoscimento della nostra umanità.
I protagonisti dei suoi romanzi sono un avvocato, un maresciallo dei carabinieri e un pubblico ministero. Quanto di lei c’è nei suoi personaggi?
Naturalmente qualsiasi personaggio di romanzo, anche quello più diverso dall’autore del romanzo stesso, ha dei connotati autobiografici. Noi tutti facciamo una autobiografia delle emozioni e senza trasferire qualcosa di noi stessi nei personaggi, probabilmente non creiamo personaggi interessanti e a tre dimensioni. Dopodiché in ognuno di questi specifici personaggi, cioè Guido Guerrieri, Pietro Fenoglio, Penelope Spada, c’è qualcosa di mio, qualcosa che probabilmente avevo voglia di raccontare e contemporaneamente ci sono caratteristiche molto diverse dalle mie, magari caratteristiche che mi piacerebbe avere e che non ho.
Nel 2007 è stato consulente della commissione antimafia. A suo parere per combattere la criminalità organizzata servono altri strumenti normativi o sono sufficienti ma non applicati quelli che esistono?
Io credo che la normativa antimafia nel nostro Paese sia una ottima normativa, estremamente efficace, all’avanguardia, andrebbe imitata da altri Paesi d’Europa e del mondo e credo anche che sia abbastanza applicata. Credo che la lotta alle mafie in Italia sia una lotta che con mille difficoltà funziona. Dopodiché c’è un tema di contrasto internazionale alle mafie e c’è un tema di combattere l’illegalità diffusa che non significa sempre, come è ovvio, mafia, ma è certamente il terreno di cultura di ogni forma di crimine organizzato. Su questo siamo piuttosto indietro, ma per fare questo è necessario oltre che cambiare le regole e fornire i mezzi a magistrati, poliziotti e carabinieri, anche riuscire a cambiare la mentalità soprattutto in certi territori.
Lei è stato magistrato e parlamentare, posso chiederle se a suo parere l’immunità parlamentare limita o semplifica le indagini sulla criminalità organizzata?
Forme di tutela della riservatezza del domicilio, della libertà dei parlamentari sono necessarie non ai singoli parlamentari ma alla democrazia. Il problema naturalmente quando se ne abusa. A volte questo può anche interferire con indagini importanti ma non è una questione centrale nella lotta al crimine organizzato.
Cosa si aspetta dalla riforma della giustizia?
Se la riforma della giustizia è quella di Nordio purtroppo non mi aspetto niente di buono.
Ha altre opere nel cassetto?
A fine ottobre uscirà un mio breve saggio su un tema che mi sta molto a cuore, il titolo è “Elogio dell’ignoranza e dell’errore.”
Ringraziamo Gianrico Carofiglio per questa intervista.
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