Abbiamo intervistato Alessandro Cecchi Paone, docente universitario, divulgatore scientifico e conduttore televisivo.
Lei è docente di scrittura per la produzione documentaristica presso la facoltà di scienze della formazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. In che modo riesce a raccontare in modo semplice qualcosa di particolarmente complicato, come la scienza?
La faccio vedere proprio perché raccontare diventa sempre più difficile. Gli studenti di oggi sono meno abituati sia a leggere sia a scrivere quindi, essendo un documentarista, preferisco far vedere le cose anziché raccontarle. Questo funziona benissimo perché anziché spiegare cos’è un’eruzione, mostrare cosa accade all’interno di un vulcano in fase eruttiva è emotivamente coinvolgente ed è quindi più facile da ricordare.
Documentari e programmi come Quark e La Macchina del Tempo sono sempre più rari. Posso chiederle quale idea si è fatto di questo travaso di telespettatori da programmi di divulgazione scientifica ai reality e ai social?
In realtà non c’è una contrapposizione diretta. C’è stata una decisione di tutti gli editori, pubblici e privati, di rinunciare a questo settore. I privati possono fare quello che vogliono, giustamente, ma la TV di Stato dovrebbe fare quello che serve alla collettività dal punto di vista educativo, divulgativo e istruttivo. Qualcosa è rimasto. AD esempio al figlio di Piero Angela fanno fare poche puntate in estate, ma il problema non si risolve solo così. Se si fa una verifica su quello che succede alla BBC, o in altre televisioni, ci rendiamo conto di come la classe dirigente italiana abbia deciso di non pubblicare più la scienza e la cultura e questo è un disastro. L’attaccamento ai social è semplicemente un fatto generazionale e anche un fattore reattivo dato che le persone più curiose, soprattutto i giovani, non sono interessati a una televisione pubblica e privata prevalentemente per persone mature, basata sull’intrattenimento, sulla cronaca nera e sulla politica e vanno a cercare, magari senza trovarlo, qualcosa di più interessante orientandosi sui social, trovando, spesso, informazioni sbagliate.
Cosa l’ha spinta a partecipare all’isola dei famosi e al grande fratello vip? È stato più un bisogno di evasione o di cambiamento?
Nessuna delle due cose. È stata una richiesta pressante da parte dell’editore nei confronti del quale ho una profonda gratitudine. Un editore privato non aveva nessun obbligo di dedicare 15-20 anni di prime serate, di risorse, di spazi e tempi su una rete importante, soltanto alla scienza, alla cultura e alla storia. Parliamo di vari programmi La Macchina del Tempo, Appuntamento con la Storia, Io sto con gli animali, Amici animali e altri. C’è stata una costellazione di programmi divulgativi che per circa vent’anni sono andati in onda su Canale 5 e Rete 4. L’editore privato non aveva nessun obbligo di legge, mentre la RAI lo avrebbe dato che paghiamo il canone. Sono quindi rimasto grato e, quando mi hanno detto che cercavano una persona di cultura, un docente universitario che si identificava con la storia dell’azienda e potesse portare anche contenuti di carattere scientifico e culturale sull’Isola e al Grande Fratello non potevo e non volevo dire di no.
Alle recenti elezioni europee si è candidato con Stati Uniti d’Europa. Si è dichiarato anti Vannacci, e attribuisce al governo di tenere in bassa considerazione scienza e cultura. Se dovesse definire la politica di oggi con un aggettivo quale userebbe.?
In linea con quello che ho detto prima sugli editori pubblici. Loro avrebbero il compito di aiutare la società a migliorarsi e, soprattutto, a incardinarsi nella sua crescita sui progressi della scienza, della tecnica e della cultura. Purtroppo questo non avviene. Non so se viene prima questo e poi di conseguenza una politica che si basi su questi aspetti o viceversa. Di fatto mentre il mondo corre verso un’innovazione tecnologica e scientifica e dedica gran parte delle sue risorse alla ricerca, con energie giovanili per cercare nuove conoscenze, nuove informazioni purtroppo l’Italia è ferma. Non sento parlare nessun esponente politico di innovazione tecnologica, di ricerca scientifica, di apertura culturale. Anzi, rispetto ad alcune cose importanti e delicate come la carne staminale da laboratorio abbiamo avuto addirittura una legge per vietarla, e per quanto riguarda l’intelligenza artificiale, abbiamo sentito una serie di voci di allarme convergendo su una regolamentazione particolarmente severa sul piano etico. Nessuno ha spiegato di cosa si tratta e quali sono gli aspetti prevalentemente positivi che comporta. Rischiamo di essere un paese marginale rispetto ai paesi che, invece, investono e costruiscono il futuro dei loro giovani su scienza, cultura e tecnologia.
La cultura per l’Italia è sicuramente una delle prime voci del PIL considerando anche l’indotto del turismo. Lei crede che il nostro paese abbia ancora un potenziale inespresso nella gestione del proprio patrimonio storico artistico e culturale oppure pensa che stiamo facendo già tutto il possibile?
Si lascia un enorme margine inespresso perché il PIL italiano, per quanto riguarda ricerca, innovazione, scienza e tecnologia è il più basso dei paesi avanzati. Non arriviamo all’1% dal punto di vista degli investimenti tra pubblico e privato. Gli altri paesi sono sulla media del 3%, quindi si tratta di un dato davvero drammatico. Questo lo pagheranno soprattutto i nostri figli e nipoti che si troveranno davanti un paese sempre più arretrato. Per quanto riguarda la cultura, anche qui la situazione è disastrata perché siamo la culla della musica classica, dell’arte, dell’archeologia, dell’architettura. La culla di quasi tutte le massime espressioni culturali del passato e del recente passato. Poiché non ce ne occupiamo più e abbiamo una classe dirigente e politica che su questo non crea occasione di crescita al lavoro per i giovani, c’è una caduta del PIL. Il nostro turismo potrebbe arrivare a produrre il 20-25% e, secondo alcuni studiosi il 30% del PIL, invece ci fermiamo al 10% e proviene in gran parte da un turismo, assolutamente legittimo, ma balneare, del divertimento, delle attività ludiche e sportive, ma non è un turismo né culturale né innovativo. Un turismo che consuma ma non produce, non vive e non crea investimenti. Molti nostri giovani potrebbero lavorare nel turismo ma pensano che voglia dire fare i bagnini o i camerieri. Ovviamente non c’è niente di male, sono attività necessarie, ma non è questo il turismo del futuro. È un turismo industriale che sceglie in maniera differenziata i suoi obiettivi e i suoi clienti. È un turismo che ad esempio dovrebbe assicurare a tutti una base di conoscenze linguistiche che, i nostri ragazzi e le nostre ragazze, non hanno. Non c’è una conoscenza di base dell’inglese come seconda lingua praticamente in nessuno e chi ce l’ha se ne va. Abbiamo grandi possibilità inespresse e grandi occasioni di crescita economica non colte e non soddisfatte.
In merito alle numerose manifestazioni pride della comunità LGBTQ, crede sia necessario manifestare ancora per i propri diritti, non dovremmo essere più avanti nel 2024?
Certo che sì. Dovrebbe ma non è. Io faccio il mio caso. In Italia abbiamo solo le unioni civili che non sono un matrimonio egualitario. Ci sono meno obblighi e meno diritti fra persone dello stesso sesso e, se per caso uno dei due coniugi ha già un figlio o una figlia da una precedente unione eterosessuale, è impossibile riconoscerlo. Ai chiama Step Child Adoption. L’Italia è ai margini della crescita scientifica, ma è anche ai margini dal punto di vista dell’apertura della società
Lei recentemente in un’intervista ha dichiarato di aver lavorato sia con Spadolini sia con Galasso. Cosa ci può dire in merito a questi uomini di cultura, esponenti del Partito Repubblicano?
Mi complimento per la vostra attenzione. Ne parlavamo con Parenzo a L’Aria che tira su La7. Pur essendo molto giovane fui interpellato da questi tre repubblicani. Attualmente ho aiutato Emma Bonino perché fa parte, un po’, della mia famiglia politico-culturale da quando, purtroppo, il Partito Repubblicano non c’è più. Ero un giovane repubblicano e avevo già la mia struttura di personalità ben definita pur avendo appena vent’anni. Uno dopo l’altro Spadolini, Galasso e Ronchey mi chiesero di dare una mano. Sono stati gli ultimi che hanno capito che l’Italia non poteva tenere da una parte i musei buttati lì, polverosi, praticamente gratis senza nessun tipo di servizio. Spadolini creò il Ministero dei Beni Culturali; Galasso lavorò a un decreto per evitare che fossero devastati i centri storici le bellezze culturali, le spiagge e le bellezze naturali. Ronchey portò in Italia quello che nel resto del mondo era già la normalità, cioè la possibilità di avere un bar, un ristorante vicino a una libreria o un negozio di souvenir. I beni culturali possono portare ricchezza se uno li mette al reddito, il che significa anche biglietti da pagare come, accade in tutto il mondo, ma anche guadagnare dalla buona gestione di un museo, di un luogo archeologico o di una località ambientale. Ronchey intendeva guadagnare e contemporaneamente offrire servizi, usando i soldi per la manutenzione, per i nuovi scavi, per i restauri, per la sorveglianza e per tutto ciò che può immaginare intorno ai beni culturali. Questi tre grandi repubblicani, uno dopo l’altro, si sono mossi in questa direzione e io gli ho dato volentieri una mano ottenendo una splendida lezione. Oggi vedo tante ragazze e ragazzi che studiano nelle scuole di restauro o di gestione dei beni culturali e, appena si laureano, a pieni i voti vanno all’estero perché in Italia nessuno li paga come meriterebbero.
Ringraziamo Alessandro Cecchi Paone per la disponibilità e la cortesia e per averci aiutato a diffondere l’amore per cultura condividendolo con i nostri lettori.
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