Abbiamo voluto approfondire il mondo della narrativa e della lingua intervistando una persona impegnata “sul campo” come Diego Di Dio, titolare di una agenzia letteraria e scuola di formazione, nonché affermata presenza sui social al punto da essere ritenuto autorevole anche da autori e tecnici della letteratura.
Seguendoti abbiamo potuto notare che dai numerosi consigli, “pillole” riguardanti la lingua italiana. Come è nata l’idea e come è nata in te la passione per la lingua?
Prima di fare il lavoro che faccio adesso sono stato un lettore assiduo. Mi appassionavo alle storie, prima i fumetti, poi i racconti, poi i romanzi e contemporaneamente li scrivevo. La passione per la letteratura italiana e per la narrativa, in ogni sua forma, è nata in età scolare. Con il tempo ho visto che per lavorare nel mondo dell’editoria era necessario studiare tanto, quindi, dopo la laurea ho frequentato la scuola dei redattori, corsi per le agenzie letterarie, corsi di bozza e tantissimi altri approfondimenti da autodidatta. Lavoro con la lingua e mi diverto anche a dare consigli sulla narrativa e sulla linguistica.
La laurea era in letteratura italiana?
Mi sono laureato in giurisprudenza a Napoli perché in un’altra vita avrei voluto fare l’avvocato, ma dopo la laurea ho deciso di seguire il cuore e quindi la mia passione per le storie e ho fatto la scuola per redattori a Roma. Nonostante questo la mia laurea non è stata del tutto inutile perché, dirigendo un’agenzia letteraria, la contrattualistica e all’ordine del giorno e le mie conoscenze mi sono tornate molto utili.
Steve Jobs diceva che bisogna fare il lavoro che si ama e non si lavorerà nemmeno un giorno in vita propria.
Noi siamo oberati di lavoro. Certo all’inizio c’è quello slancio, quella passione, ma qualche volta le dinamiche lavorative trasformano questa passione anche se resta.
Come ti sembra la tendenza di omettere il genere in alcune parole ad esempio utilizzare espressioni del tipo “Buongiorno a tutt@”?
Penso che sia inutile se lo scopo è quello di includere tutti. Non è modificando la desinenza delle parole che si può avere più rispetto e condivisione verso tutte le categorie. Si tratta di qualcosa di molto più profondo e serio che deve essere radicato nella nostra educazione. Siamo in un’epoca che a tratti è quasi medievale, con episodi di violenza e bullismo contro gli omosessuali, contro gli obesi e contro chiunque sia diverso. La lingua di per sé ci da tutte le occasioni per includere chiunque, è complessa e completa, conoscendola possiamo dare il giusto nome a ogni cosa rispettando chiunque.
Posso chiederti che cosa pensi dell’ultima frontiera del politicamente corretto che ipotizzava di declinare al femminile il nome di alcuni dinosauri?
Questa polemica mi era sfuggita. Generalmente non sono d’accordo con l’esasperazione del politicamente corretto perché ci sono delle forme d’arte che non sono politicamente corrette, ma va bene così. Esistono la comicità, la commedia, ma anche generi narrativi che non hanno nulla di politicamente corretto. Molti dei miei fumettisti preferiti come Frank Miller ed Alan Moore non hanno nulla di politicamente corretto, ma la loro scorrettezza è uno strumento per la critica sociale. Applicare esasperatamente il politicamente corretto finirà per censurare le forme d’arte più divisive e più provocatorie. L’arte, in un certo senso, deve essere divisiva, va bene così. Certo è un’epoca piena di contraddizioni non si può dire “buonasera a tutti” senza essere considerati scorretti ma siamo pieni di episodi di violenza giovanile.
La prima volta che ho visto un tuo video è stato perché una persona a me molto cara mi aveva parlato della “d” eufonica. Vorrei che spiegassimo questa cosa ai lettori e soprattutto, una mia curiosità. Esistono dei testi, come ad esempio la Costituzione italiana, nei quali la particella “ed” esiste ed è utilizzata. Significa che i padri costituenti hanno scritto la Costituzione con un italiano diverso da quello di oggi oppure che hanno sbagliato?
Questa regola si è imposta, esclusivamente a livello editoriale, negli ultimi 30-40 anni gradualmente. Tutti i libri pubblicati nel corso degli anni hanno fatto cadere, in alcune occasioni, la “d” eufonica. Innanzitutto è caduta in maniera definitiva accanto alla “o”. Difficilmente troverai un’espressione di tipo “od”, a meno che non sia proprio una scelta voluta per dare un tono arcaico al testo. La “d” eufonica è rimasta vicino alla a e alla e, ma la regola che si è affermata nel panorama editoriale degli ultimi anni è quella di utilizzarla soltanto quando siamo in presenza di parole che iniziano per la stessa vocale. Ad esempio è corretto dire “ed essere”, ma non è corretto dire “ed anche”. Ci sono due eccezioni, la prima si ha quando la d “eufonica” diventa “d” cacofonica cade comunque. Quindi non potrei dire “autore ed editore”, ma dovrei dire “autore e editore” per evitare l’incontro di due “ed”. La seconda eccezione riguarda quelle formula che si sono già affermate nel tempo con la “d” eufonica errata, ma che sono entrate nell’uso comune. Ad esempio “ad ogni modo”, “ad ogni costo” e formule simili. Si tratta comunque di regole di matrice editoriali perché si sono formate nell’editoria, ma ci sono dei settori che non adottano il linguaggio di questo tipo e si rifanno a regole che valevano un po’ di anni fa. Essendo laureato in Giurisprudenza ho potuto verificare che in tutti i testi di diritto si continua a usare la “d” eufonica e si usano anche termini che nel linguaggio comune sarebbero considerati desueti. Si tratta comunque di linguaggi che seguono regole tutte loro. Quando è stata scritta la Costituzione, la “d” eufonica si usava prima di ogni vocale quindi si tratta di un testo assolutamente corretto. Alcuni giornali, per norme relazionali, continuano a usare la “d” eufonica mentre altri si sono adeguati alle norme editoriali moderne, ma questo dipende anche dai gusti di chi fissa le regole redazionali.
Tu ti occupi di un’agenzia editoriale ma sei anche un editore?
Ci occupiamo di selezionare gli autori, di service editoriale e di corsi di formazione.
Pensi che sia importante studiare il latino alle scuole medie?
Personalmente l’ho studiato al liceo scientifico. Ai miei tempi partecipai al progetto brocca, un progetto che prevedeva un mix tra materie scientifiche e letterarie. Il latino mi ha aiutato a capire meglio l’italiano, ma non è un fatto scontato, non penso che si tratti di una regola generale. Non so se valga la pena studiarlo alle medie, ma di sicuro lo farei studiare alle scuole superiori affiancandolo allo studio della lingua contemporanea perché il classico non deve togliere spazio al contemporaneo e viceversa.
Pensi che ci siano stereotipi di genere nell’intelligenza artificiale? Sappiamo che negli Stati Uniti coloro che fanno fare training alle intelligenze artificiali per l’85% sono uomini. Credi che in questo modo possano aumentare gli stereotipi di genere?
In realtà queste cose non dipendono dal sesso di chi nutre le macchine ma dalla loro cultura. Più che è un problema di genere è un problema di cultura. Per superare la divisione e gli stereotipi di genere l’unico strumento che abbiamo è la formazione culturale.
Quale è stato il romanzo al quale hai fatto da editing che ti ha dato maggiori soddisfazioni?
Per non fare torto a nessuno posso dire che ricordo meglio i più recenti e quindi dico quelli. Nell’ultima edizione del primo Tedeschi, che è il premio Mondadori riservato al miglior romanzo giallo inedito italiano, tra i 5 finalisti c’erano due romanzi che abbiamo curato noi. Uno ha vinto e l’altro è arrivato tra i finalisti. Questa è stata una grande soddisfazione perché significa che al di là del talento dell’autore, il nostro lavoro di editing ha raggiunto un risultato, un obiettivo perché si è affermato nel maggiore premio italiano riservato ai romanzi gialli inediti. Per me è una sorta di premio che va a suggellare il nostro lavoro.
Nel 2017 hai scritto un romanzo “Foremorra” che racconta la malavita nei quartieri di Napoli. Poiché la protagonista è una donna, come è stato scrivere dal punto di vista femminile?
Ero partito con l’idea di voler raccontare un noir bello e forte. Adoro i noir ma nella maggior parte dei casi abbiamo protagonisti maschili. Io, invece, volevo fare qualcosa di nuovo e per questo ho avuto l’idea di raccontare la vita e la storia di questa donna. Per poterlo fare ho voluto parlare con le persone, soprattutto con le donne per farmi raccontare il loro modo di vivere e poi rileggere le interviste. Questo è stato un lavoro di immersione nell’universo femminile, a tal punto che, nel momento in cui ho iniziato a scrivere, vi ero talmente immerso che mi è venuto quasi naturale. Lo sforzo maggiore non è stato nello scrivere ma nel documentarmi. È stato un lavoro molto lungo perché ci sono due romanzi.
Non ci sarà un terzo romanzo?
Mi sono fermato al secondo perché sono passati quasi sette anni a parlare della storia di Alisa, quindi ho deciso di fermarmi. Per adesso ho messo da parte Alisa, ma non è del tutto sicuro che non ci siano altri in futuro
Qual è stato l’evento che ti ha spinto a scrivere?
Non c’è stato un vero e proprio evento, più che altro è stata la mia passione per la lettura. Alcune delle emozioni più forti della mia vita le ho provate leggendo libri e guardando film.
Qual è il libro che ti ha emozionato di più?
Ce ne sono tanti ma te ne cito un paio. Due di Stephen King “Hit” e “22-11-63”, poi “Oceano mare” di Baricco e “Non ti muovere” di Margaret Mazzantini, Mi ha emozionato sia il romanzo che il film di Sergio Castellitto.
Un consiglio che daresti a un autore esordiente?
Di non avere fretta perché l’editoria adesso è una sorta di barca impazzita in balia delle maree e delle onde. Si pubblicano dai 70 agli 80 mila libri all’anno e la gente non legge mentre il tasso di lettura italiano è al 41% che non è alto. L’auto pubblicazione si sta affondando sulla pubblicazione tradizionale e i libri nel frattempo si vendono sempre di meno, tanti di essi non arrivano a 400 copie. Quindi in un clima così caotico il mio consiglio è di prendersi tempo perché con la fretta e con l’ansia di pubblicare si finirà per essere uno di quei tantissimi libri che non vendono neppure 50 copie. Studiare leggere e formarsi trovare un buon accordo un buon editore e fare tutto questo con il tempo che ci vuole.
Ringraziamo Diego Di Dio per questa lunga intervista e per l’entusiasmo e la pazienza con i quali ci ha concesso il suo tempo rispondendo alle nostre domande.
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