Se si pensa alla Puglia dei vini, vengono sicuramente alla mente il Primitivo di Manduria e il Negroamaro del Salento. Entrambi sono dotati di importante struttura e caratterizzati da una bella capacità evolutiva oltre che da una buona potenza alcolica.
Oggi, c’è chi parla di competizione tra Primitivo e Negroamaro, ma più di rivalità vera e propria la rivalità è sulla loro diffusione commerciale, forse proprio perché sono pressappoco equidistribuiti in tutta la rete commerciale e ristorativa italiana. Con l’elevazione della Puglia e del Salento a rinomati luoghi della villeggiatura estiva degli italiani, i due vini sono diventati particolarmente popolari. Ma, come molti ricorderanno, è a partire dagli anni 2000 che il Negroamaro è diventato “nazionalpopolare”, di pari passo con il successo del noto gruppo salentino, originario di Cupertino (LE) che aveva scelto proprio questo nome, per riferirsi al proprio territorio.
Le origini del mito
Ma da dove viene il Negroamaro? Come buona parte delle uve dell’Italia meridionale, anche il vitigno a bacca nera Negroamaro è il prodotto di una antica selezione importata dagli Illiri e dai greci, ancor prima dell’arrivo dei Romani. Coltivato principalmente nelle province di Brindisi e Lecce, il suo nome ha una storia interessante. La semantica rimanderebbe alla ripetizione della parola “nero”, tipico sia degli acini sia del colore particolarmente scuro del vino che ne deriva. Nelle lingue latina e greca, diventa rispettivamente niger e μαύρο (traslitterato mávro). Nella sua evoluzione, la variazione in dialetto salentino di mávro è «màru». Questo termine si riferirebbe anche alla particolare forza tannica del vino, caratterizzato nei vini giovani da una certa astringenza, quindi “amaro”.
Come si diventa Negroamaro
Una caratteristica del Negroamaro è la capacità di raccogliere un quantitativo elevato di zuccheri (complice anche la particolare morfologia della Puglia che favorisce le escursioni termiche), e questa sua morbidezza potenziale abbinata alle tecniche di affinamento, rendono questo vino particolarmente gradevole. Il Negroamaro però, come quasi tutti i vini, si può trovare sia vinificato in purezza (100% da uve di vitigno di Negroamaro) sia con dei blend (spesso con uve locali) per evidenziarne alcune note.
Negroamaro, analisi del vino
Una scheda di analisi di un vino Negroamaro, presenta un colore rosso rubino intenso, limpido, tra l’abbastanza consistente e il consistente. Al naso, si presenta tra l’abbastanza intenso e l’intenso, fine. In base alla sua evoluzione, si percepiscono sentori fruttati di more, frutta rossa e frutti di gelso di colore nero e speziati di tabacco o liquirizia. Al palato si presenta secco, caldo, abbastanza morbido, tra l’abbastanza fresco e il fresco, l’abbastanza tannico ed il tannico, e (a seconda del luogo di coltivazione) anche abbastanza sapido. Di solito la struttura è di corpo medio, abbastanza armonico. Con cosa abbinare un buon bicchiere di Negroamaro salentino? A un bel piatto della tradizione pugliese come fave e cicoria, una buona selezione di “bombette” pugliesi e ‘gnummareddi, ma anche un buon sugo con braciole di cavallo e polpette. Ma chi preferisce abbinarlo a un piatto della tradizione o berlo in meditazione, faccia pure perché si presta bene anche a questo piacere. Di cantine che producono Negroamaro di qualità e con un buon rapporto qualità prezzo, ce ne sono molte. Consigliarne una è difficile. Che sia in enoteca o al supermercato, provare per gustare, conoscere e credere.
Buona bevuta!
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