Questa settimana, per l’intervista di approfondimento abbiamo scelto di intervistare un amico della testata, ma anche delle persone che vi collaborano, il cantautore Roberto Michelangelo Giordano, in arte Roberto Michelangelo Giordi. Musicista e cantante, ma anche politologo e scrittore. Per approfondire il nostro viaggio negli stili abbiamo gli abbiamo rivolto qualche domanda a proposito del suo libro, ma anche sull’evoluzione degli stili musicali e letterari dal dopoguerra a oggi.
Abbiamo letto il libro che hai scritto insieme ad Antonello Cresti Il bello, la musica e il potere edito da Edizioni Mariù. Vorrei che spiegassimo ai lettori del Radar la genesi del testo, come avete cominciato, perché è nata l’idea e quale messaggio avete voluto trasmettere ai lettori.
L’idea iniziale è partita da Antonello Cresti. È stato lui a propormi di riflettere sul ruolo della bellezza nella nostra società attuale. Io ho ampliato le argomentazioni concentrandomi anche sul rapporto tra bellezza e potere, parlando principalmente di musica, che tra le arti è quella che conosco meglio. Sembra che, ancora oggigiorno, siano in pochi a comprendere il senso di questa atavica relazione.
Leggendo il testo vengono alla mente molteplici riflessioni, così come sono molteplici gli elementi del vostro dialogo. Vorrei chiederti a cosa vi siete ispirati e se avevate già un piano di dialogo preciso o l’avete modificato durante il corso del dialogo stesso.
Siamo partiti da discussioni generali sull’esperienza estetica e siamo arrivati infine a muovere una critica feroce al sistema neoliberista. Ovviamente durante la fase di riscrittura abbiamo apportato delle modifiche.
Sia tu che Antonello scrivete di quanto la società capitalistica sia incline a una disumanizzazione e distinguete il capitalismo dell’immediato dopoguerra da quello attuale. Ritieni che il circolo potere-capitale-bellezza possa essere, in un’ottica a lungo raggio, più vizioso o virtuoso ed eventualmente come si potrebbe conservare quello buono e spezzare quello cattivo?
Abbiamo parlato a lungo contro il neoliberismo. Abbiamo criticato la sua volontà di trasformare i cittadini in consumatori, la sua tendenza a favorire il processo, sempre più evidente, di transumanesimo. Nel testo facciamo una chiara distinzione tra il capitalismo post-bellico, quello cioè soggetto alle leggi dello Stato e ai principi della nostra Carta Costituzionale, e quello sviluppatosi a seguito della caduta del muro di Berlino. Sono due sistemi economici piuttosto differenti. Durante la fase del primo capitalismo sembrava più possibile il dialogo tra potere e bellezza; le politiche governative erano finalizzate a un piano di educazione nazionale. Le politiche del neoliberismo, invece, non si pongono alcun fine educativo. La bellezza in questo sistema viene svuotata di ogni eticità. L’unico fine che ci si pone è quello di vendere. Non importa se un oggetto sia bello o brutto, se renda la società migliore o peggiore, l’importante è che si venda. Ecco, mi chiedi cosa accadrà in futuro, non so dirlo. Non so cosa ne sarà del mondo e del nostro paese. Auspico a una Rivoluzione che ci riporti a riparlare del Bello, in un senso più ricco ed autentico.
Una domanda un po’ personale, quanto ti manca lo stile, non solo musicale, di quegli anni che precedono il confine ideologico della caduta del Muro di Berlino?
Mi manca tantissimo quel modo di sentire la vita e di stare in società. L’epoca che precede la caduta del muro di Berlino è un’epoca in cui il linguaggio è ancora sacrale. Gli artisti di quell’epoca avevano studiato nelle vecchie scuole ed erano dotati di una sapienza classica che purtroppo oggi manca alle nuove generazioni. Oggigiorno la cultura e il linguaggio appaiono completamente desacralizzati. E io credo che senza il senso del sacro l’arte non ha ragione di esistere.
Nel testo, riferendoti all’orda neoliberista degli anni ’80-’90 del secolo scorso, metti il lettore in guardia dal credere che viviamo nel migliore dei mondi possibili, dalla cultura spropositata del self made man e, soprattutto, dal fare guerre contro la bellezza. Vorrei sapere se ti sei ispirato ad autori o testi del passato o le tue determinazioni sono maturate semplicemente dall’osservazione personale della realtà.
Ho una visione keynesiana della società: per me lo Stato deve limitare il mercato. E poi Gramsci, è il suo pensiero che mi ha ispirato tanto nel redigere questo libretto.
Leggendo il tuo testo mi vengono in mente le parole di JFK che, nel suo celebre discorso alla cancelleria di Berlino del 1963, diceva testualmente che la “democrazia non è perfetta”. Lui però ribadiva, in ottica antisovietica per chiedere l’abbattimento del muro di Berlino, che “non abbiamo mai tirato su muri per trattenere le persone con noi”. Parlando di democrazia e libertà di espressione, puoi dirmi come possiamo, a tuo parere, difenderci da questi limiti intrinseci ed evitare di restare prigionieri del “muro del pensiero unico”?
In questo momento storico siamo tutti vittime di una menzogna. In Occidente ti fanno credere che sei in democrazia, e quindi nel migliore dei mondi possibili, ma questo non è affatto vero. Il dramma è che siamo ormai schiacciati tra due poli: l’Oriente che spinge verso autoritarismi di stampo nazionalistico novecentesco e l’Occidente che trasuda di un totalitarismo tecnocratico e transumanista. Come fare a difendersi? L’ideale sarebbe la costruzione di una terza via: prendere il meglio del passato e attualizzarlo in un’ottica di modernità, cercando dunque di individuare nuove forme di organizzazione sociale e politica.
Mi incuriosisce molto il modo in cui presenti il rapporto tra musica, internet e tecnologia soffermandoti sull’uso – e abuso – dei social. Il festival di Sanremo si è recentemente concluso con non poche polemiche. Posso chiederti un parere su questo e sul ruolo della tecnologia sulla fattispecie dell’esito finale del festival?
Non sono affatto contrario alla tecnologia, anzi. Sono ricorso più volte all’uso di software nella realizzazione dei miei dischi. Il problema non è la tecnologia in sé, ma il suo uso smodato. Affidare, ad esempio, la scrittura di una canzone all’Intelligenza Artificiale è aberrante. Come dico più volte nel libro l’arte è vincolata all’umano e senza l’umanità nessuna forma di arte e bellezza è possibile. Su Sanremo non mi esprimo perché non l’ho visto, non mi piace.
Albert Camus scriveva che “soltanto la musica è all’altezza del mare”. Leggendo questa frase percepisco un inspiegabile senso di bello. Vorrei chiederti di soffermarti a riflettere e dirmi cosa ne pensi.
Albert Camus è uno dei miei autori preferiti, ma non sapevo che avesse relazionato la musica al mare. Effettivamente è una bella intuizione, perché la musica è un flusso. Ascoltare una bella composizione è un po’ come naufragare in un oceano di bellezza, seguendo un flusso continuo di riproposizioni melodiche e armoniche. Qualcun altro diceva che la musica è la più nobile delle arti perché attraverso note impalpabili, quindi invisibili, riusciva a smuovere i sensi e condurci persino all’estasi.
Hai firmato anche altri testi, posso chiederti se ne hai altri in cantiere o al momento hai deciso di fermarti?
Per adesso sono un po’ fermo perché sto preparando uno spettacolo teatrale tratto dal mio libro/disco, Aliene Sembianze, con testo di Giancarlo Moretti. Lo spettacolo si intitola L’infinito dei campi di grano e sarà di scena in primavera a Napoli, Roma, Firenze, Biella e Milano.
Ringraziamo l’amico Roberto Giordi per il tempo che ha voluto dedicarci nella realizzazione di questa intervista.
Leggi anche Intervista a Stefano Andreotti