Proseguono gli approfondimenti del Radar con le interviste mirate. In questa occasione abbiamo posto il focus sull’Abruzzo, sulla provincia dell’Aquila e sul comune di Castel di Sangro. Abbiamo intervistato il presidente della provincia dell’Aquila e sindaco di Castel di Sangro, Angelo Caruso. Il radar è sempre attento alle realtà locali e territoriali, del resto è l’insieme delle identità territoriali che compone il sistema Paese. Di seguito l’intervista.
Lei ha avuto la responsabilità di essere presidente della provincia dell’Aquila dal 2017 quindi in un periodo che può essere considerato ancora post terremoto. Quello è stato un periodo sicuramente non facile per la provincia dell’Aquila. Vorrei chiederle se nell’esercizio del suo mandato, qualche volta, ha avuto l’impressione che fosse necessario un maggiore impegno da parte di tutte le istituzioni di quello che poi è stato effettivamente profuso.
Sicuramente. E questa circostanza non è nemmeno cessata. Nel senso che l’opera di ricostruzione della realtà interessata da una vicenda sismica come quella dell’Aquila non circoscritta soltanto alla città dell’Aquila, per quanto riguarda la ricostruzione dei luoghi, tutto sommato, sta andando egregiamente. A fianco, però, va ricostruita la comunità cioè un sistema sociale che deve accompagnare il reinsediamento e la ricostruzione del sistema urbano preesistente all’evento sismico. Questo tipo di azione implica una maggiore coesione istituzionale perché sono interessate le varie componenti di una società che esiste e, quindi interagisce, con una collettività. Questa fase stenta ad affermarsi e, chiaramente, pone in evidenza un deficit che è il deficit demografico. Lo scarso successo, definiamolo così, è derivato dalla mancanza di accompagnamento in questa fase del reinsediamento dei paesi e dei borghi della città dell’Aquila. Il capoluogo in qualche modo regge a questo calo demografico ma soltanto attraverso la migrazione del territorio verso la città.
Lei ha parlato di calo demografico. Una domanda sportiva che riguarda più Castel di Sangro che la provincia. Nel comune che lei amministra come sindaco, avete un impianto sportivo che può ospitare 7200 persone, ma la popolazione del comune è di 6700 abitanti circa. Penso che si tratti di uno dei pochi centri in Europa ad avere uno stadio più capiente dell’intera comunità comunale. Questa curiosità ha attirato qualcuno oppure è passata inosservata?
Una piccola premessa. Lo stadio venne realizzato, con l’attuale capienza, per effetto della promozione in serie B del Castel di Sangro calcio. Da quella data noi ci attivammo per realizzare uno stadio consono a quel livello calcistico. Questo ha retto fino a che la squadra ha militato nella categoria professionistica, prima la B, poi la C1 e la C2 fino a quando poi non l’abbiamo liquidata. Da quel momento abbiamo riconvertito tutta quella bella storia, quella notorietà che era scaturita da quell’evento, in una azione piuttosto produttiva sul settore del turismo sportivo. Siamo riusciti a farlo diventare centro federale della FIGC suscitando l’interesse del Napoli Calcio che e anche altri club blasonati come ad esempio il Genova. In epoca Covid, quindi nel 2020, per via delle restrizioni il Napoli calcio si interessò a un ritiro di prossimità e trovò una possibile collocazione nella nostra realtà sia dal punto di vista alberghiero che sportivo. Da quella occasione è nata ovviamente la possibilità di far ritirare il Napoli calcio qui. Sono già quattro anni che il Napoli viene in ritiro qui. Per ospitare una squadra del genere è necessario avere uno stadio che abbia queste caratteristiche, anzi, in qualche caso quella capienza era persino insufficiente. Insieme a questo c’è l’effetto dei tornei giovanili, dei tornei di calcio della FIGC, dell’under 21, della nazionale femminile, dell’under 20 e dell’under 19. Lo stadio riesce a essere un punto di riferimento per eventi calcistici di livello professionistico al netto di quella che è una sotto utilizzazione durante il periodo invernale. Durante le altre stagioni riesce a essere un’attrattiva importante per un sistema che si declina sotto l’egida del turismo sportivo.
Parlando di turismo ci troviamo in un comune, Castel di Sangro, che insieme ai vicini Roccaraso e Pescasseroli, è molto importante per il turismo invernale. Quest’anno però abbiamo una stagione relativamente calda. Da questo punto di vista, so che si sta utilizzando neve sparate artificialmente sulle piste da sci. Lei ritiene che ci sia un problema climatico, e se ci fosse cosa potrebbe fare il suo ente per risolverlo? Cosa dovrebbero fare secondo lei anche gli enti di livello superiore?
Intanto noi dobbiamo riposizionare la località dell’Alto Sangro che è un bacino naturalistico formidabile interessato da parchi nazionali, dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e quello della Maiella. Riposizionare significa comunicare e rendersi più attrattivi per quella che è una risorsa naturalistica, che non significa soltanto la neve, ma tutto quello che la montagna è in grado di offrire, dalla percezione e fruizione e non solo dell’ambiente naturale che ovviamente sconta la maggiore rilevanza sul piano dello sci. Senz’altro viviamo una stagione, quella di quest’anno e quella dello scorso anno, in condizioni purtroppo di precarietà. Si va avanti con l’innevamento artificiale, ma l’innevamento artificiale è sempre una condizione necessaria anche quando c’è neve. Ciò avviene per un dato tecnico che magari facciano bene a chiarire in questa occasione. Per la frequentazione delle piste, che ormai ha assunto livelli notevoli, pensi che su una pista passano milioni di persone durante una stagione, il fondo della pista non può essere garantito esclusivamente dalla neve che cade naturalmente. La consistenza e la compattezza non saranno idonee. Quindi, anche se ci fossero due metri di neve, su quei due metri, va posto un piccolo manto di neve sparata artificialmente per renderla più compatta e resistente per l’uso massiccio tipico delle piste. L’equilibrio è più determinato dal fondo che deve essere il più possibile naturale e dal paesaggio che non può che essere naturale.
Questo è il GAP che stiamo vivendo oggi, cioè vediamo un ambiente brullo e le aree sciabili innevate perfettamente o quasi perfettamente. Sul discorso climatico, al netto di quello che viene diffuso e di quello che in qualche modo viviamo nella realtà, l’incognita è sempre legata al fatto che sono effetti che, nel nostro modo di vedere le cose, dipendono spesso da fenomeni che esorbitano dalla capacità umana di incidere sul clima. Però qui parliamo di un piano ideologico ed è meglio non entrare nel discorso. Da quello che viviamo nella quotidianità abbiamo vissuto due stagioni tutto sommato un po’ sottotono che però, nel momento in cui si riallineerà un po’ la situazione climatica ripartiranno in modo assolutamente adeguato.
Tempo fa ho letto che la giunta comunale di Castel di Sangro ha approvato un progetto per un impianto funiviario che collega Castel di Sangro con gli impianti sciistici della Aremogna. Vorrei chiedere se si farà questo impianto e se vale la pena realizzarlo e se sarà funzionale.
Questa è un’azione programmatica che abbiamo compiuto qualche anno fa predisponendo tutta la pianificazione urbanistica, che sono il piano regolatore generale e la previsione del piano paesistico conformemente a questo tipo di infrastrutture. Se si farà non lo sappiamo ancora per una ragione molto semplice, abbiamo dato priorità ad altri tipi di investimenti. Facciamo una digressione completando la gamma della dotazione impiantistica sportiva. Stiamo realizzando un impianto di piscine molto grande, per diversificare ovvero per offrire insieme allo sci anche altri servizi sportivi, soprattutto quelli che mancavano, legati alla piscina. Tornando invece al tema del collegamento funiviario, lo abbiamo immaginato come ha descritto lei perché volevamo servire la stazione sciistica attraverso un sistema ferroviario, cioè una ferrovia che parte e si collega alla rete ferroviaria consentendo, in tal modo, l’accesso al bacino sciistico. Una forma innovativa e sostenibile per ridurre l’afflusso di auto nel bacino sciistico che non è dei più nobili. In questo modo ridurremo l’inquinamento e daremo beneficio anche all’impatto visivo che si ha vedendo la distesa di macchine che non è sicuramente uno spettacolo adeguato rispetto alla qualità dell’ambiente che offriamo.
Visto che la montagna ha 365 giorni l’anno, crede che sarebbe opportuno pensare a un piano strategico per il turismo? La cultura della regione, che permette di attrarre turisti durante tutti i mesi dell’anno, ma occorrerebbe rafforzare rapporti tra pubblico e privato con una maggiore gestione per il turismo permettendo di accedere alle montagne anche a chi non viene a sciare avendo alternative alla sedia sdraio. Cosa si può fare in tal senso?
Come dicevamo anche prima noi abbiamo probabilmente un profilo critico riguardo a quella che è stata la tradizione della montagna abruzzese. Cioè abbiamo piuttosto improntato l’azione di sviluppo sull’attività sciistica, ma molto meno su quello che la montagna in generale, che ha quattro stagioni ha da offrire. C’è sicuramente qualità ambientale con un pregio con riferimento al parco nazionale. Ricordiamo che insieme al Gran Paradiso, sono i parchi nazionali più antichi d’Italia hanno entrambi più di 100 anni. È evidente che se abbiamo, in passato, concentrato la capacità attrattiva solo sullo sci, forse abbiamo trascurato il fatto che la capacità attrattiva della montagna sia sulle quattro stagioni. Il nord su questo è stato forse un po’ pioniere ed è in una condizione più avanzata rispetto a noi. Probabilmente in questo campo si sta rivedendo un po’ là la comunicazione perché è tutto basato su ciò che noi riusciamo meglio a comunicare. Se riuscissimo a comunicare questo e cioè che la montagna e le sue declinazioni naturali si strutturano durante le quattro stagioni, probabilmente riusciremmo ad essere più attrattivi e anche più competitivi con la montagna alpina. Ricordiamoci anche che la montagna appenninica è una montagna molto più fruibile, dal punto di vista faunistico, e molto più interessante delle Alpi, che sono caratterizzate da un ambiente più arido, con rocce e meno fauna. Soprattutto questo è più fruibile per chi ama lo sviluppo più moderato rispetto alle vette dell’Arco alpino.
Dopo l’entrata in vigore della legge Del Rio 56 del 2014, il rapporto tra gli enti è cambiato. Le province hanno un rapporto con i livelli di governo e con gli elettori che è diverso da quello precedente. Volevo chiedere lei cosa pensa dell’attuale sistema, se magari potrebbe essere rideterminato, ad esempio assegnando diverse competenze. Infine cosa pensa, in un’ottica più o meno imminente, per quella che potrebbe essere l’entrata in vigore di un’eventuale autonomia differenziata, quando sarà approvata secondo i passaggi parlamentari sanciti dall’articolo 138 della Costituzione.
La domanda è perfetta ed è molto completa e consente una risposta articolata. La legge Del Rio doveva durare ben poco perché era una legge tampone rispetto a quello che si dava per scontato, cioè l’esito positivo del referendum con l’abolizione delle province insieme a tutto ciò che era previsto nella riforma costituzionale. A distanza di tanti anni, parliamo ormai di dieci anni, non siamo riusciti a far revisionare, attraverso anche tutta l’azione che l’UPI, l’Unione delle province italiane, ha intrapreso con diversi governi dal governo Gentiloni fino al governo Meloni, a far revisionare questo impianto normativo che doveva essere di tipo transitorio.
La situazione ha subito un’evoluzione. Abbiamo depositato, abbiamo in senso lato perché i vari gruppi parlamentari in primis Fratelli d’Italia, hanno depositato in Parlamento una proposta per rivedere la legge Del Rio ripristinando l’elezione diretta del presidente e dei consiglieri, con fasce a seconda del numero degli abitanti delle province. Questa proposta prevede anche la ridistribuzione delle competenze alle province. Questa è un’azione, unita all’iter legislativo che è iniziato che aveva, dapprima sùbito una certa accelerazione. Si era persino ipotizzato un election day abbinato alle prossime europee di giugno. Poi c’è stato un raffreddamento di questa iniziativa, ma diamo un po’ per scontato che nel giro di qualche anno si arriverà alla decadenza di tutte le amministrazioni in carica per riportarle a una elezione diretta in questo modo. Al netto di questo, probabilmente l’unica vera carenza di quella iniziativa legislativa, è sul piano delle competenze e delle risorse finanziarie. Qualsiasi provincia, anche quella che se l’è cavata meglio di altre, ha subito comunque una menomazione sulle competenze che ormai sono sul piano residuale. Pensi che la provincia dell’Aquila prima aveva 750 dipendenti e oggi ne ha poco più di 250. Questo significa riallestire un sistema di ordinamento provinciale con competenze, risorse e capacità organizzative. Significa ricoprire un ruolo sicuramente più importante. Alla luce dell’entrata in vigore, di ciò che accadrà quando ci sarà l’autonomia differenziata, immaginando che le competenze statali che le regioni andranno a chiedere, comprese nelle possibili 23 materie, determineranno un governo regionale di livello statale che mai potrà scontare attività amministrative, come oggi fanno, anche dalle cose più semplici come per esempio il rilascio dei tesserini di caccia e pesca cioè cose da sportello sostanzialmente. Dovranno indirizzare la loro azione in un’attività di livello importante perché dovranno curare, in luogo dello Stato, funzioni importanti in settori strategici come le scuole, le infrastrutture e via discorrendo. Probabilmente questo modello che dovrà essere riorganizzato, sarà il presupposto, a nostro modo di vedere, ma parlo anche a nome dell’UPI, per una attuazione concreta del regionalismo. Parliamo delle regioni sarebbero già pronte a ricevere materie importanti. Ci sono già le richieste che pendono e il governo sta già facendo accordi con le regioni che hanno fatto richiesta nelle materie stabilite. Ma dovrebbero agganciare parallelamente, questo è un auspicio, questa riforma dell’ordinamento delle province ripristinando quello che era un po’ il modello organizzativo e ordinamentale delle province per arrivare a declinare quell’armonia istituzionale che oggi è monca proprio perché c’è un vuoto che attraversa le azioni del comune e quelle della Regione.
Ringraziamo il presidente Angelo Caruso per averci ospitati nel suo ufficio e averci concesso questa intervista con cordialità.
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