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Assegni di mantenimento e condizione femminile: il nostro approfondimento

divorzio mantenimento
divorzio mantenimento

Dopo i recenti sviluppi in tema di definizione dell’assegno di mantenimento, e riprendendo in considerazione la condizione della donna nella società contemporanea, abbiamo intervistato l’avvocato Marianna Nappo, civilista ed esperta di cause matrimoniali.

Una recente sentenza della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito che ai fini della valutazione dell’assegno di mantenimento deve essere considerato anche il periodo di convivenza prematrimoniale. A suo parere tecnico, è possibile che nei prossimi mesi registreremo un incremento dei ricorsi in tal senso? E, se fosse, questo non correrebbe il rischio di ingolfare o perlomeno rallentare l’attività della corte di legittimità?

I pronunciamenti della Cassazione sulla entità e sulla natura dell’assegno di mantenimento sono variabili nel tempo e si adeguano, in qualche modo, al sentire comune della società. Personalmente, pertanto, non credo che un tipo di pronuncia del genere, che prevede di valutare anche il periodo di convivenza prematrimoniale ai fini dell’assegno di mantenimento, possa determinare un aumento delle cause di separazione e/o di scioglimento degli effetti civili del matrimonio. Separazioni che, più in generale, sono conseguenza della crisi della famiglia e dell’istituto del matrimonio.

Nella sua attività di avvocato, quando si intraprende una causa di separazione, quale è stato il punto più discusso dai clienti? Determinazione assegno, affidamento dei figli, occupazione della casa coniugale o altri aspetti?

In tema di separazione e di divorzio, il tema più controverso tra i coniugi è quello che attiene ai figli, seguito immediatamente da quello patrimoniale. Anzi, molto spesso, i due temi viaggiano di pari passo laddove, nelle situazioni più conflittuali, i figli vengono addirittura utilizzati dai genitori come strumento quasi ritorsivo nei confronti della controparte. In assenza di figli, senza ombra di dubbio, l’aspetto ovviamente più rilevante è quello di natura patrimoniale perché nel periodo successivo alla rottura dell’unione coniugale ciascuno dei coniugi tende ad ottenere sul piano economico il miglior risultato possibile senza farsi mancare l’utilizzo di qualsiasi strumento che possa giovare in tal senso.

Sempre con riferimento alla sua esperienza, ha il sentore che a iniziare una causa di separazione siano in prevalenza le donne o gli uomini?

A meno che non ci si affidi a dati statistici, credo che non si possa dire se una causa di separazione venga più promossa dagli uomini o dalle donne, almeno per quanto riguarda l’esperienza concreta che ho maturato io.

Infine una domanda sulla violenza di genere. Vorrei che lei parlasse della sua percezione del fenomeno in quanto donna e, se in qualità di giurista, ritiene necessari ulteriori interventi normativi o soprattutto culturali? E, da quest’ultimo punto di vista, come possiamo evitare che il politicamente corretto prevarichi il buon senso?

Quello della violenza sulle donne è un fenomeno di grande rilievo e che richiede un intervento importante sia dal punto di vista legislativo che dal punto di vista culturale. Sotto il primo profilo, ossia quello legislativo, andrebbero previste norme penali più efficaci a tutela della donna, e ciò sia in fase preventiva (quando si verifica il problema e viene sporta la denuncia, si dovrebbe agire in maniera rapida, efficace e soprattutto si dovrebbe determinare nella persona offesa, quindi nella donna, la certezza di avere una tutela effettiva) sia nella fase “successiva” (dopo che si è verificato, ahinoi, l’evento, si dovrebbero prevedere delle pene più specifiche, configurandosi la fattispecie del reato di omicidio di genere, quindi di femminicidio, con pene specificamente previste per questo determinato reato o quanto meno prevedendosi l’aggravante del femminicidio con conseguente aumento di pena).
Sotto il secondo profilo, ossia quello culturale, si dovrebbe agire in famiglia ed a scuola. In famiglia, si dovrebbe impartire un’educazione che porti i figli ad essere rispettosi della vita, delle idee, delle scelte degli altri e, più nello specifico, del genere femminile. Nelle scuole, che sono istituzioni di primaria importanza nella crescita soprattutto intellettuale dei giovani, dovrebbe affrontarsi il tema della tutela della donna, della parità tra i sessi, della modalità con la quale gli uomini devono rapportarsi alle donne. Perché purtroppo ancora oggi, in larghi strati della società, prevale la concezione patriarcale, cioè dell’uomo che è convinto di avere più diritti, di avere una sorta di diritto di proprietà sulla donna. Da questa visione possono scaturire fenomeni distorti come quello di ritenere che una donna debba essere legata all’uomo per sempre e non possa fare delle scelte autonome. Ancora pare che la donna sia quasi un oggetto di cui poter disporre come meglio si crede.
Non ritengo, infine, che vi sia un problema di politicamente corretto perché il fenomeno è effettivo e reale, assolutamente attuale e quindi il “politicamente corretto” non può prevalere sul buon senso. Il problema è effettivo e come tale va affrontato.

Il Radar ringrazia l’avvocato Marianna Nappo per la cortesia e la grande disponibilità con la quale ha accettato di rispondere alle domande.

Leggi anche Il Patto di Stabilità e l’Unione Monetaria Latina

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