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Intervista a Stefano Fassina

Stefano Fassina
Stefano Fassina

L’Italia e l’Europa stanno vivendo un periodo di trasformazioni politiche ed economiche. Il Radar ha chiesto a Stefano Fassina, economista ed ex viceministro dell’economia, di fare un punto sulla situazione politica ed economica attuale e in prospettiva, per le prossime elezioni europee.

L’Europa sta discutendo in modo piuttosto acceso circa la revisione del patto di stabilità. Questo significherebbe sostanzialmente scostamenti di pochi decimali su Pil e deficit. Ma cosa dovremmo aspettarci per le ricadute sull’economia reale, prezzi a consumo e salari?

Come ho provato a sostenere in queste settimane, la discussione sulle revisioni delle regole di finanza pubblica è sostanzialmente irrilevante perché il quadro che si prospetta non ha significative discontinuità rispetto alle regole in vigore. Si tratta di regole che sono state sospese per 3 anni, da quando iniziò la pandemia. Le cose potrebbero addirittura peggiorare perché rimane un’area di incertezza, e uno spostamento ulteriore, dei poteri decisionali, sulla commissione.
Le conseguenze sull’economia reale e sui salari, sono le conseguenze di una politica di bilancio che non tiene conto della fase straordinaria nella quale siamo. Sono delle conseguenze, che si vengono a determinare inevitabilmente, in un quadro in cui non si affrontano gli elementi straordinari che hanno portato all’accumulazione di debito in questi ultimi tre anni. Cioè, la fase della pandemia ha determinato l’accumulazione di debito buono, perché allora nessuno contestò l’utilità di intervenire a sostegno dell’economia reale, delle famiglie, delle imprese, dei lavoratori e della sanità. Nonostante l’aggravio di debito. Tale aggravio è stato di 20 punti percentuali di PIL per l’Italia, 17 e 18 per Francia e Spagna e 10, in media, nell’eurozona. Quindi, senza misure straordinarie come, ad esempio, il continuo riacquisto da parte della Banca Centrale dei debiti emessi durante la fase di covid, e acquistati attraverso il PEPP, cioè il programma di acquisti della fase emergenziale, senza un rinnovo continuo di questo debito, è inevitabile che poi ci siano delle conseguenze restrittive sulla finanza pubblica. Bisognerebbe prendere atto della fase straordinaria che si è prodotta con il Covid e che continua, con un quadro di guerra, incidendo sul costo delle materie prime e quindi sull’inflazione importata.

L’UE e l’Occidente vivono sfide interne ed esterne. L’Europa parla di allargamento a est, ma non riesce a trovare accordi sui flussi migratori. Gli Usa vorrebbero conservare il primato geopolitico, ma spesso penalizzano persino gli alleati Nato. Ad esempio la Germania è penalizzata dalla guerra in Ucraina. Infine, proprio le guerre ai nostri confini continentali compromettono esportazioni e approvvigionamenti energetici. In questo scenario cosa potremmo augurarci e cosa possiamo fare come occidentali e come italiani?

Dovremmo essere molto più consapevoli delle scelte che facciamo con troppa disinvoltura. Ad esempio, in queste ore, il Consiglio Europeo a Bruxelles ha deciso di avviare i negoziati per l’ingresso dell’Ucraina e della Moldavia nell’Unione Europea. A mio avviso, senza una chiara road map, per rivedere e riorganizzare l’impalcatura europea, è chiaro che, nel quadro istituzionale di regolazione dei mercati vigente, l’allargamento è un colpo pesantissimo sia alle prospettive di soggettività politica dell’Unione Europea – perché vi sarà ovviamente un aggravamento dell’incapacità decisionale già oggi molto evidente nell’Europa 27 – sia per lavoratori, lavoratrici e piccole imprese. Si metterebbero dentro al mercato unico altri stati a welfare minimale, con tassazione minimale, con diritti minimali dei lavoratori, con retribuzioni medie di 3-400 euro al mese. Quindi ulteriore dumping fiscale, ulteriore dumping sociale e dumping contrattuale. La fase straordinaria va affrontata certo con attenzione alla dimensione geopolitica, però deve essere affrontata con una strategia chiara, definendo un contesto istituzionale europeo a 3 cerchi come è stato individuato, anche di recente, dal gruppo dei 12 esperti franco-tedeschi e accennato più volte dal presidente Macron.
Cioè, un quadro in cui la comunità ha 34 o 35 stati. Una comunità politica dei 27 e, infine, un nucleo più stretto di paesi di stati della cosiddetta vecchia Europa che mettono insieme le scelte strategiche di politica internazionale, di difesa, sicurezza e di politica economica. Senza però illudersi che si possa arrivare a una forma di super stato europeo o a un quadro federale in senso stretto.

Lei è un esponente della sinistra e ha fondato una piattaforma Patria e Costituzione. La sinistra parlamentare attualmente è in minoranza, cosa si sente di dire a politici ed elettori affinché il vento di destra cambi direzione?

Il vento di destra è un vento che ha delle ragioni strutturali molto chiare. Si tratta sostanzialmente dello spiaggiamento delle classi medie e delle classi sociali più in difficoltà, dovuto alla regolazione neoliberista del movimento di capitali, merci, servizi e persone. Le sinistre, le forze politiche che non rientrano strettamente in questa categoria, ma vogliono stare dalla parte del lavoro, devono rimettere in discussione l’impalcatura regolativa dell’economia innanzitutto del contesto europeo. Inoltre devono prendere in considerazione la necessità di affrontare anche la dimensione, come dire spirituale, che porta tante fasce sociali a rifugiarsi, poi, nei messaggi di chiusura che la destra istintivamente offre. C’è una rielaborazione culturale, profonda, da fare per affrontare la fase straordinaria in corso.

Ultima domanda sulle elezioni europee di giugno. Pensa che saranno un test più importante per il governo o per le opposizioni? E crede che avranno ripercussioni sulla configurazione delle forze parlamentari?

Le elezioni europee, purtroppo, hanno prevalentemente un’interpretazione più che una conseguenza. Un’interpretazione nazionale sebbene siano, in realtà, elezioni dalle quali dipende la composizione del Parlamento Europeo, il quale, per quanti pochi poteri abbia, vota la presidente della Commissione Europea e i commissari e, in qualche modo, orienta la linea programmatica della Commissione. Sono elezioni che hanno un’importanza rilevante, direi fondamentale, per l’Unione Europea. Dopodiché vengono interpretate in chiave nazionale e potrebbero avere conseguenze, ma nella situazione in cui siamo, penso più per l’opposizione che per la maggioranza. Non mi aspetto scostamenti particolari particolarmente significativi rispetto al quadro attuale. Temo che non siano sufficienti a determinare quella iniziativa politica, necessaria al ripensamento profondo, al quale accennavo nella risposta precedente.

Ringraziamo Stefano Fassina per la chiarezza e la disponibilità grazie alla quale abbiamo potuto offrire questo approfondimento ai nostri lettori.

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