L’appoggio incondizionato che gli Stati Uniti avevano dato finora ad Israele sembra essersi esaurito. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha più volte ammonito l’alleato medio orientale a non esagerare con
bombardamenti indiscriminati che fanno perdere il sostegno internazionale a Israele
esortando il governo israeliano a fare il possibile per modificare la propria condotta a Gaza e salvare la vita dei civili palestinesi.
Israele, l’appoggio di Biden scricchiola
In effetti all’indomani degli attacchi del 7 ottobre il sostegno internazionale era stato unanime, senza sé e senza ma. Dopo oltre due mesi di guerra e quasi 20 mila vittime civili a Gaza, non tutto l’occidente è più apparso così coeso a sostegno della causa israeliana. In realtà ciò che ha fatto mutare l’idea di Biden è stato anche, e forse soprattutto, il sondaggio pubblicato dall’istituto Gallup che descrive un paese nel quale gli elettori, sia democratici che repubblicani, sono contrari all’intervento israeliano nella Striscia. Questo dato segue anche la polemica degli atenei più illustri del paese. Con l’avvicinarsi delle elezioni americane appare quindi più probabile che l’amministrazione Biden cerchi di conformarsi a quello che è il volere degli elettori.
Israele è più isolato?
Se da un lato Netanyahu si era detto sicuro che Israele avrebbe continuato senza l’appoggio internazionale a perseguire l’obiettivo di sterminare una volta per tutte Hamas, dall’altro il ministro della difesa del governo di unità nazionale israeliano Yoav Gallant, ha ribadito che la guerra ad Hamas prosegue e non è certo in via di conclusione. La fase più cruenta dovrebbe terminare entro la fine di gennaio. Successivamente seguiranno altre due fasi. La prima che prevede il ritiro delle truppe e la creazione di una linea Maginot per prevenire futuri attacchi. La seconda con attacchi mirati da parte delle forze speciali per distruggere quel che resta di Hamas.
Il presidente Biden dal canto suo ha specificato
Non voglio che smettano di dare la caccia ad Hamas, ma che siano più attenti, più focalizzati sul salvare le vite dei civili.
Gaza, Netanyahu considera Oslo un errore
Se da questo punto di vista appare intravedersi una road map che manifesta la volontà israeliana di conformarsi alle indicazioni del potente alleato d’oltre Atlantico, non si può certo dire che i due storici alleati siano d’accordo su cosa dovrà avvenire dopo la guerra. Biden sostiene l’autorità Nazionale Palestinese chiedendo che a questa sia assegnato il governo della Striscia come accaduto fino al 2007 anno successivo alle uniche elezioni libere nella Striscia, che videro la vittoria di Hamas e la cacciata dell’ANP di Abu Mazen. Dall’altra parte Netanyahu che sostiene che la responsabilità della sicurezza nella striscia dovrà essere affidata all’esercito israeliano per un periodo molto lungo. In mezzo l’Autorità Nazionale Palestinese che fa fatica anche a imporsi nei territori che dovrebbe legittimamente amministrare, cioè quelli della Cisgiordania.
Proprio a proposito di un eventuale governo dell’ANP nella Striscia, Netanyahu precisa
Voglio essere chiaro: Dopo il grande sacrificio dei nostri civili e dei nostri soldati non permetterò l’ingresso a Gaza di chi insegna, sostiene e finanzia Il terrorismo. Non permetterò che Israele ripeta gli errori di Oslo.
Gaza e gli accordi di Oslo
Gli accordi di Oslo furono firmati tra Itzac Rabin e Yasser Arafat nell’estate del 1993 a Oslo, ma furono ratificati il 13 settembre del 1993 nel giardino della Casa Bianca alla presenza dell’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton. Alla cerimonia furono presenti oltre 2000 invitati. Il grande passo in avanti era rappresentato dal fatto che, per la prima volta, Israele e l’OLP si riconoscevano reciprocamente come legittimi interlocutori. Si trattò della prima stretta di mano pubblica tra il primo ministro israeliano nonché ex Ufficiale dell’esercito e un interlocutore politico palestinese riconosciuto. Si trattò comunque di un percorso accidentato che richiese ben 14 sessioni di lavoro tra il 1992 e il 1993 per porre fine all’intifada.
un accordo per Gaza
Un percorso simile sarebbe possibile oggi anche se al momento appare inimmaginabile. All’epoca i colloqui non furono stimolati ma iniziarono per volontà spontanea delle parti. Quello fu il momento nel quale prese corpo la cosiddetta soluzione due popoli due stati. Secondo Biden attualmente Netanyahu è contrario a questo tipo di soluzione. Non bisogna dimenticare che il primo ministro israeliano guida comunque un governo di unità nazionale e che alla fine di questa guerra, probabilmente vedrà anche il tramontare della sua carriera politica. Non è da escludere quindi che passati i primi ministri le politiche da essi portati avanti non restino e siano modificate magari nel nome di un dialogo più costruttivo tra le parti.
i militari che pregano in moschea
Di certo si tratta di un dialogo che al momento non c’è. Questo è vero soprattutto se consideriamo quanto accaduto recentemente a Jenin in Cisgiordania. Due soldati israeliani sarebbero entrati in una moschea e avrebbero usato gli altoparlanti per diffondere una preghiera ebraica. Si è registrata oltre alla reazione della popolazione del posto, quella del governo turco e i provvedimenti sanzionatori da parte dei vertici dell’Esercito e del ministero della Difesa. I due militari sono stati sospesi dal servizio con la motivazione
Sì sono comportati in maniera grave e ciò è in totale contrasto con i valori delle Forze Armate. Saranno puniti in maniera adeguata
che fine hanno fatto gli ostaggi
In questo quadro estremamente complesso non bisogna dimenticare, che fine hanno fatto gli ostaggi? Spesso gli israeliani hanno precisato che la forte pressione militare è indispensabile per convincere Hamas a rilasciare gli ostaggi. Le famiglie degli ostaggi invece fanno una forte pressione, mediatica e, prima o poi, anche elettorale sul primo ministro. Hamas chiede a Israele di tornare alla trattativa deponendo le armi se vuole riavere i suoi cittadini. Intanto 3 ostaggi sono stati uccisi il 15 dicembre dal fuoco amico dei soldati israeliani. C’è solo da augurarsi che le 3 fasi proposte da Israele giungano presto a un punto nel quale non sia più necessario imbracciare le armi.
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