L’algoritmo questo sconosciuto, è davvero il caso di dirlo.
Negli ultimi anni accanto al diffondersi dell’idea che le macchine possano condizionare sempre di più la vita umana, si è diffusa una cultura dell’algoritmo del tutto errata.
“Come fa un computer a decidere se chiudere o meno un varco portuale perché è troppo affollato?” E ancora, “come può un calcolatore elettronico stabilire i prezzi dei voli di una determinata compagnia aerea in funzione del numero di prenotazioni?” La risposta che tutti ci sentiamo dare, e che, oramai, tutti quanti siamo disposti a ripetere è “con un algoritmo”.
Quanto spesso noi stessi ci lamentiamo o sentiamo qualcuno che esclama “ha deciso tutto l’algoritmo” oppure ” non lascio decidere a un algoritmo “. Vi è quindi una grande demonizzazione del sostantivo “algoritmo”. Spesso però, per quanto l’intento sia ottimo, commettiamo gravi errori. È giusto voler preservare la parte umana dell’umanità e quindi garantire il ruolo principale che l’essere umano ha nella società. È sbagliato farlo temendo il progresso e la tecnologia, elementi che se correttamente usati possono essere di aiuto, e non d’ostacolo, alle attività umane.
Algoritmo, storia e origine
Il termine algoritmo non è certo stato inventato con i computer e neppure con la recente diffusione dell’intelligenza artificiale. Questo sostantivo apparve per la prima volta in un testo del IX secolo e deriva dal titolo del libro algebra scritto da Muhammad ibn Musa al-Khwarizmi, matematico e astronomo persiano riconosciuto come padre dell’algebra. La parola algoritmo deriva proprio dal termine algebra usato nel titolo del testo e dalla latinizzazione del nome dell’autore.
In questo volume l’autore illustrava e documentava un procedimento attraverso il quale era possibile risolvere le equazioni di secondo grado. Tale procedimento consta di un numero finito di passi che, se correttamente eseguiti, portano alla soluzione dell’equazione. L’informatica ha preso in prestito questo termine specificando che un algoritmo per computer altro non è se non una sequenza finita di passi per la soluzione di un problema.
La parola algoritmo è stata quindi schematizzata in un testo di circa 1200 anni fa, cioè circa 1100 anni prima della nascita dei calcolatori elettronici. Per la verità, dal punto di vista concettuale l’algoritmo esisteva già dal XVII secolo prima di Cristo. Fu proprio in quel periodo che lo scriba egizio Ahmnes descrisse in uno dei papiri di Rhind alcuni problemi matematici con tanto di procedure per risolverli. L’autore, nello stesso testo, dichiara di aver a sua volta copiato queste informazioni da manoscritti redatti circa 2 secoli prima. Quindi, se la parola algoritmo esiste da 1200 anni, il concetto di procedura che porta a una soluzione esiste da quasi 4000 anni.
Non tutti gli algoritmi quindi sono algoritmi informatici. Cioè non necessariamente sono parte di un programma per computer. Pensiamo all’algoritmo di Euclide per trovare il massimo comun divisore. Possiamo tuttavia fare esempi che nulla hanno a che vedere con la matematica o l’informatica. Immaginiamo la procedura che ci permette di sostituire la gomma di un’auto. Si tratta pur sempre di procedure. Persino le ricette da cucina che attirano, giustamente e molto golosamente, tanto pubblico sono degli algoritmi. Certamente nel caso della cucina il termine proprio di algoritmo potrebbe essere discutibile dal momento che spesso troviamo indicazioni del tipo “quanto basta”. Questo in un algoritmo vero e proprio non sarebbe possibile perché occorre specificare “quanto” oppure introdurre un sottoprogramma, quindi un altro algoritmo, che permette di determinare la quantità di quell’ingrediente in funzione delle quantità degli altri.
Una delle proprietà che le indicazioni, cioè i passi dell’algoritmo, devono possedere è quella di essere non ambigui. Il “quanto basta” è ambiguo perché qualcuno potrebbe preferire una certa quantità di quell’ingrediente mentre altri potrebbero preferirne meno o più. Indicando quindi, specificamente la quantità o la procedura per stabilirla, anche la ricetta da cucina può essere considerata un algoritmo.
Quando gridiamo alla disumanizzazione dobbiamo tenere conto che gli algoritmi, anche quelli più complessi – ne esistono alcuni composti da centinaia di migliaia o milioni di istruzioni – sono pur sempre stati scritti da uno o più esseri umani. Inoltre a prendere la decisione non sono gli algoritmi ma i computer che li utilizzano basandosi sulle procedure che essi descrivono. Quando un computer decide sulla base di quanto previsto da uno o più algoritmi, lo fa utilizzando lo stesso procedimento decisionale che utilizzerebbe un operatore umano. La differenza sta nel fatto che la velocità degli elaboratori elettronici è maggiore e consente di prendere decisioni in tempo reale, in modo più efficace ed efficiente di quanto non possano farlo gli esseri umani.
Questo è uno dei motivi per i quali faremo, d’altra parte bene, a non utilizzare algoritmi per attività che devono essere svolte prettamente da esseri umani. Va bene usare gli algoritmi, in modo automatizzato, per determinare il prezzo dei biglietti di un volo, ma sarebbe meglio usarli solo come sistema di supporto alle decisioni per un chirurgo che sta compiendo un delicato intervento. In quest’ultimo caso è sempre meglio che l’essere umano abbia l’ultima parola sulla decisione. Sistemi di supporto alle decisioni e non sistemi decisionali. In caso di dubbi, il chirurgo può consultare rapidamente bibliografia e letteratura di interventi simili restando sempre autore dell’intervento e decisore del da farsi.
Gli algoritmi quindi fanno parte del vissuto umano fin dalla notte dei tempi anche se è probabile che i primi appunti scritti, e quindi le prime procedure non mnemoniche, ma scritte, siano state messe a punto alla fine della preistoria. Prima di allora la scrittura non esisteva, ma è probabile che già all’epoca molti abbiano imparato a memoria qualche ricetta per prepararsi qualcosa da mangiare.
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